L'ICONOCLASTA

Deficit o tasse, il vero bivio del nuovo governo

Siamo al debutto del più grande reality show della storia politica italiana, in cui vedremo all’opera il primo governo populista di un importante Paese europeo. Dalla mia rubrica su La Stampa, Lo Specchio.

6 giugno 2018 – I populisti sono al potere in Italia. Nelle prossime ore il Parlamento voterà la fiducia al primo esecutivo di un grande Paese europeo che merita appieno la famigerata etichetta. Dall’estero, i miei colleghi descrivono questo governo come una bomba molotov di sovranisti euroscettici anti immigrati (Lega) e demagoghi anti establishment che vogliono aumentare le spese per il welfare, anch’essi euroscettici (M5S). Steve Bannon è strafelice. La Merkel un po’ meno.

Siamo al debutto del più grande reality show della storia politica, altro che Grande Fratello.

Potrebbe chiamarsi «Laboratorio Italia», l’esperimento in tempo reale in cui osserveremo i populisti all’opera. Vedremo se la seconda potenza industriale d’Europa sarà governata a immagine e somiglianza dell’America di Trump, sfruttando la rabbia e la paura della gente e convogliandola contro gli sbarchi, contro i clandestini. Capiremo se questo governo avrà un impatto sul tessuto e sulla coesione della società. E in economia, scopriremo solo vivendo come il governo gestirà i conti pubblici, quale influenza avranno il premier, Giuseppe Conte, il ministro del Tesoro, Giovanni Tria, e il ministro per gli Affari europei, Paolo Savona.

Soprattutto, e molto presto, vedremo come Di Maio e Salvini tenteranno di trovare la quadra del cerchio per realizzare tutte le loro promesse. Come farà il primo governo populista al potere in un grande Paese del Vecchio Continente a rispettare gli impegni stipulati nel «contratto» programmatico? Un piano economico che porterebbe con sé fino a 100 miliardi di costi annui!

Fino a prova contraria, dobbiamo prendere sul serio l’intenzione del governo guidato da Salvini e Di Maio di mantenere almeno tre delle promesse fatte alla loro base elettorale: reddito di cittadinanza, quota 100 e flat Tax. Come fare?

Le opzioni sono due: o si annacqua il programma, rendendolo meno ambizioso e più graduale, o si fa tutto subito e si scrive una legge finanziaria che giocoforza diventerebbe una stangata da 40 o 50 miliardi.

Il governo ha, a mio avviso, sole due possibilità: o trova le coperture attraverso tagli severi alla spesa pubblica e l’aumento di alcune imposte – e non solo l’Iva – oppure fa ricorso al deficit, lasciandolo salire al di sopra del 3 per cento del Pil. Questo, alla fine, porterebbe all’aumento del debito pubblico.

Naturalmente, un governo prudente che vuole tutelare i conti pubblici non farebbe tutto in un colpo, ma sarebbe più graduale nel suo approccio. L’idea di affrontare la questione della flat tax in diverse fasi, indicata ieri da Alberto Bagnai, possibile sottosegretario al ministero dell’Economia, va in questa direzione. Il leghista ha detto che c’è «un accordo sul fatto di far partire la fiat tax sui redditi di impresa a partire dall’anno prossimo. Il primo anno per le imprese e poi a partire dal secondo anno si prevede di applicarla alle famiglie». Comunque, complessivamente, il costo della flat tax, anche se fosse introdotta in due tempi, ammonterebbe ad almeno 50 miliardi all’anno, in termini di mancato gettito al Fisco. Ci sono cose più efficaci che costano meno. Con 5-10 miliardi all’anno si potrebbe rimettere in campo la detassazione delle assunzioni per giovani, esodati e donne. Con 7 miliardi di euro si potrebbe ridurre l’Irap di un terzo. Con circa 12 miliardi si potrebbero ridurre di 4 punti le due aliquote intermedie dell’Irpef.

Un economista come il professor Tria dovrebbe avere come obiettivo la riduzione della pressione fiscale, ma accanto a una politica che mira a stimolare la crescita e la domanda. Aumentare l’Iva per finanziare parzialmente la flat tax, il reddito di cittadinanza (17 miliardi) o la quota 100 (10-15 miliardi) potrebbe funzionare, ma avrebbe un effetto recessivo sui consumi. L’aumento dell’Iva, in ogni caso, coprirebbe soltanto una parte di una delle misure che il nuovo governo vuole introdurre. E il resto?

Certo, l’arte di governare consiste proprio nella capacità di allocare risorse scarse e trovare le coperture perle priorità della politica economica. Bisogna capire, ed è questo il punto, se il nuovo governo cercherà di realizzare il suo programma in modo immediato o in via graduale, attraverso una serie di fasi temporali, spalmando e diluendo i costi.

Il governo deve decidere se vuole andare in Europa e davanti ai mercati mondiali con la faccia tosta e un atteggiamento menefreghista, o con il senso di responsabilità che richiede la tutela dei conti pubblici, visto che l’Italia è un Paese che ha in valigia 2.300 miliardi di debiti.

O si flirta con il rischio, senza preoccuparsi delle coperture e portando il Paese allo sfascio, o ci si conforma a un pragmatico senso del gradualismo. Laboratorio Italia. Coming soon.

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