L'ICONOCLASTA

Ed eccoci arrivati alla farsa del referendum greco. Tra gli insulti di Varoufakis, pericoli finanziari, e confusione generale. Dopo il referendum, un rischio al ribasso

5 luglio 2015 – Ed eccoci arrivati alla farsa del referendum greco decretato da Tsipras. Domenica si vota in una Grecia che è fallita da cinque anni, che non paga i suoi debiti e che non vuole fare le riforme che l’Italia e altri paesi hanno già fatto. Tsipras sta tenendo insieme Syriza ma ha creato una scissione che crea più caos dividendo il popolo greco tra il sì e il no. Questa sarebbe democrazia? A me sembra piuttosto una tattica (sbagliata) di Tsipras nel suo negoziato con la troika. Ha usato il referendum come un modo di interrompere le trattative con gli odiati creditori ma il dopo-referendum sarà peggio, per lui e per la Grecia.

Non è affatto chiara la questione che Tsipras pone nel referendum: è un voto a favore o contro una proposta dei creditori che non esiste più? Un voto a favore o contro l’euro? O un voto a favore o contro le dimissioni del premier e del suo volubile ministro con la moto e le batture pesanti, l’uomo Glamor-Marxista della copertina di Paris Match?

Povero popolo greco
. Tsipras non lo sta aiutando. Da quando è premier la sua (non) gestione della crisi ha peggiorato le condizioni dell’economia. Tsipras sarà anche ben intenzionato, la sofferenza dei greci è indubbia e richiede la nostra solidarietà umana, ma questo signore ha sprecato cinque mesi e ha portato l’Europa ad una crisi che non è più solo economica ma è anche politica, probabilmente come da lui voluto. Tsipras l’ideologo è più efficace nei comizi che nel palazzo. Manca di esperienza. Sembra confusionario.

Guardando la gente in televisione, che cerca di spiegare quali sono le ragioni di un voto favorevole o contrario, è palese l’enormità dela confusione e del caos che regnano nella Grecia di Tsipras. Questo elettorato è un po’ ingenuo, ma sicuramente anche frastornato, arrabbiato, stanco, disorientato, e questo è dovuto soprattutto al dilettantismo del premier da febbraio ad oggi.

“Io vorrei votare no, però gli stranieri dicono che questo significa un voto per la Grexit. Ma ora Tsipras dice che un voto contrario non vuole dire questo,” dice una signora in piazza ad Atene, intervistata dalla Cnn.

Ricordiamo gli ultimi giorni di confusione. Pochi giorni fa Tsipras ha detto che un voto no potrebbe portare la Grecia ad un uscita dall’euro. Poi Juncker ha detto che un voto no significa Grexit. Ma poi Tsipras ha detto ieri che no, un voto contrario non vuol dire Grexit. Significa invece rafforzare la sua mano nelle trattative con la troika. I creditori, ripete ora un Varoufakis scatenato, sono “terroristi”. Terroristi? Sì, così parla Varoufakis, oggi.

E poi c’è Donald Tusk, il presidente del Consiglio europeo, che ora cambia il suo messaggio e contraddice Juncker, dicendo che si potrebbe anche immaginare una Grecia fallita che resta nell’euro, anche dopo un voto no. Bel pasticcio. Uno Tsipras che parla bene alla piazza, con belle parole, ma che in realtà è un uomo poco pragmatico e poco competente.

L’unica cosa vera che Tsipras dice, e qui ha ragione, è che se non si risolve il problema del debito attraverso una ristrutturazione, la Grecia non ce la farà. Anche Lagarde e l’Fmi dicono la stessa cosa, aggiungendo che ci vorranno almeno 50 miliardi di euro di nuovi aiuti (dalle tasche dei contribuenti europei) nei prossimi due o tre anni per salvare la Grecia. Tsipras chiede un taglio del 30% e una moratoria di 20 anni sui rimborsi. Probabilmente Merkel, Draghi e Lagarde sono più propensi ad un allungamento della maturità del debito greco, un rescheduling che allunghi la data da 20 anni ma non tagli l’attuale capitale. Un’altra impasse quindi più avanti, dopo il referendum. Altri guai e ritardi.

La colpa inziale per la situazione in cui la Grecia si trova oggi sarà stata dell’austerity, della Merkel e dell’Fmi. La colpa sarà stata dei governi greci che hanno falsificato le loro cifre. La colpa sarà stata della malgestione della crisi della zona euro dal 2010 a oggi da parte dei leader europei, l’Fmi e tutti gli altri. A mio avviso l’unica persona senza colpa si chiama Mario Draghi, che se avesse avuto nel 2011 la libertà di cominciare un programma di immissione di liquidità attraverso il Quantitative Easing avrebbe aiutato alla grande.

La situazione di oggi sarà quindi colpa di tutti o di nessuno. Ma non credo che il referendum risolverà la situazione. Anzi, il rischio è al ribasso.

Alan Friedman

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