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Good read: Martin Wolf viviseziona Donald Trump sul Financial Times

Misogino, razzista e xenofobo. Il pifferaio magico degli arrabbiati e dei rancorosi. Così il commentatore del Financial Times, Martin Wolf, descrive il candidato del GOP alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump. Un editoriale molto duro, nel quale Martin Wolf critica in particolare le elite repubblicane, colpevoli di aver giocato al populismo durante la presidenza di Obama. Elite poi battute da qualcuno più bravo a giocare al loro gioco.

19 maggio 2016 – Donald Trump sarà il candidato repubblicano alla presidenza. Potrebbe addirittura diventare presidente degli Stati Uniti. È difficile esagerare la portata e il pericolo di simili sviluppi. Gli Stati Uniti sono stati nel XX secolo il bastione della democrazia e della libertà. Se Donald Trump fosse eletto, un uomo con inclinazioni fasciste nei confronti delle persone e del potere, il mondo ne uscirebbe trasformato.

Trump è misogino, razzista e xenofobo. Si compiace della sua stessa ignoranza e inconsistenza. Innalza a verità qualsiasi cosa gli faccia comodo. Quando non raccapriccianti, le sue idee politiche sono ridicole. E le sue inclinazioni e idee sono meno inquietanti del suo carattere: è un narcisista e un prevaricatore, un megafono di teorie della cospirazione.

Andrew Sullivan, commentatore conservatore, ha scritto recentemente: “Per la nostra democrazia liberale e il nostro ordine costituzionale, Trump rappresenterebbe l’estinzione”.

Potrebbe rivelarsi sorprendentemente semplice per il presidente Trump trovare delle persone desiderose di eseguire ordini tirannici o costringere coloro che non hanno intenzione di farlo. Esasperando le crisi o creandole, l’aspirante tiranno potrebbe traviare il sistema giudiziario e politico. I presidenti di Russia e Turchia ne sono degli ottimi esempi. Gli Stati Uniti hanno un ordine costituzionale radicato. Ma potrebbe tuttavia essere piegato, in particolare nel caso in cui il presidente dovesse godere di un sostegno a prova di impeachment al Congresso.

Sullivan chiama in suo aiuto Platone, il più grande tra i filosofi antidemocratici. Platone, ricorda, era convinto che più una società diventa egualitaria, meno è disposta ad accettare l’autorità. Al loro posto sarebbero arrivati i demagoghi, che offrono rimedi semplici a soluzioni complesse.

Trump è il pifferaio magico degli arrabbiati e dei rancorosi. È salito alla ribalta, argomenta Sullivan, come l’uomo che “sfiderà le sempre più disprezzate elite”. Inoltre, la rivoluzione dei media ha facilitato questa ascesa sradicando “quasi ogni moderazione o controllo, da parte delle elite, del nostro discorso democratico”.

La demagogia è invero il tallone d’Achille della democrazia. Tuttavia la democrazia ateniese, nella quale viveva Platone, non ha dato luogo a una propria tirannia ma piuttosto è nata da un regime dispotico. Quello del re macedone, terminato nel 338 a.C.

Soprattutto, Sullivan minimizza il ruolo delle elite. Nel caso degli Stati Uniti, sostiene che la ricchezza è incapace di comprare la presidenza. Obama ha battuto Romney, per esempio. Ma i soldi comprano influenza ai livelli più bassi della politica. E, ancora più importante, le elite formano l’economia e la società. Se una parte dei cittadini è arrabbiata, le elite ne portano la responsabilità.

Il virtuoso attaccamento dei Democratici ai diritti delle donne e, più in generale, alla causa delle minoranza, intese in termini di etnia, orientamento e identità sessuale, ha avvicinato la classe media bianca, specialmente nel vecchio Sud, ai Repubblicani. L’elemento razziale nella “Obama derangement syndrome” (gli americani hanno dato il nome di una sindrome di fantasia a quell’opposizione a priori, ottusa e ostinata, che rasenta la paranoia, di parte della popolazione alle politiche di Obama, ndr) è piuttosto chiaro.

I repubblicani hanno poi ingannato i loro supporter. Avevano bisogno di questi voti per ottenere quello che i loro sostenitori desiderano di più: tasse basse, regolamentazione debole, libero scambio e politiche migratorie liberali. Per far sì che questi diventassero gli obiettivi del Partito repubblicano, le elite hanno dovuto trasformare il governo in un nemico. Hanno anche dovuto attirare i supporter culturalmente conservatori con promesse di un cambiamento che non sarebbe mai stato possibile ottenere.

In più, le elite di entrambi gli schieramenti hanno promosso cambiamenti economici che hanno finito col distruggere la fiducia nelle loro competenze e onestà. In questo, la crisi finanziaria e i conseguenti salvataggi sono stati decisivi.

Ma ancora prima, le classi medie hanno sofferto decadi di stagnazione nei salari reali e un relativo declino dei salari. La globalizzazione ha portato enormi benefici a molti poveri nel mondo. Ma c’è stato un numero significativo di perdenti a livello locale. Oggi, gli ultimi della società sono convinti che coloro i quali guidano l’economia e il governo li impoveriscano, li sfruttino e li disprezzino.

Anche le elite repubblicane sono diventate un nemico, e Trump è divenuto il loro salvatore. Non è una sorpresa che sia un miliardario. Cesare, leader aristocratico dei Populares, ha portato avanti il “Cesarismo”, il dominio dell’uomo forte e carismatico che Trump vuole essere.

Una repubblica sana non ha bisogno dell’uguaglianza, lungi da questo. Ma necessita di un certo grado di reciproca affezione. Improvvise fortune causate da nuove attività – conquiste nella Roma antica, le banche nella Firenze medievale – possono corrodere i legami sociali. Se la virtù civica svanisce, una repubblica diventa candidata alla distruzione.

I cambiamenti economici, sociali e politici hanno portato gli Stati Uniti al punto in cui una parte significativa della popolazione cerca l’uomo forte. Deve far riflettere le elite repubblicane che la loro base abbia scelto Trump invece che Ted Cruz e Cruz rispetto a tutti gli altri. Le elite del partito hanno giocato al populismo, soprattutto con il loro ostinato rifiuto a collaborare con il presidente (Obama, ndr). E sono stati battuti da chi è più bravo a giocare al loro gioco.

Trump ha capito che i suoi supporter non hanno alcun interesse nella limitata ingerenza dello Stato, argomento tanto caro ai conservatori. Desiderano piuttosto la restaurazione del perduto status economico, razziale e sessuale. Trump promette un massiccio taglio delle tasse, spese sostenute e un debito ridotto. Nessun bisogno di coerenza logica. Quella è per i disprezzati media mainstream.

Hillary Clinton è una candidata debole, macchiata dai fallimenti di suo marito e dalla sua posizione all’interno dell’establishment, ed è a corto di talento politico. Dovrebbe vincere, ma potrebbe anche perdere. E anche nel caso in cui vincesse, non porrebbe fine a questa storia.

Trump ha scoperchiato nuove possibilità politiche. Ma non si tratta principalmente di eccesso di democrazia, se gli Stati Uniti si trovano a questo punto. Molto di più ha pesato il fallimento di elite miopi. Qualcosa, di quel che è accaduto, è stato giusto e quindi non avrebbe dovuto essere evitato. Ma molto altro invece sì. Le elite, in particolare quelle repubblicane, hanno attizzato questo fuoco. Sarà difficile contrastarne il divampare.

(Traduzione di Luna De Bartolo)

VIA/ The Financial Times

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