L'ICONOCLASTA

Hillary Clinton accetta la nomination: «L’America è alla resa dei conti, insieme più forti. Sarò presidente di tutti gli americani»

29 luglio 2016 – «L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura. Ma noi non abbiamo paura». Una citazione da Franklin Delano Roosevelt che riassume perfettamente la narrazione di Hillary Clinton, diametralmente opposta a quella dello sfidante repubblicano, Donald Trump.

In tailleur bianco, visibilmente emozionata, Hillary Clinton è salita sul palco di Filadelfia, nell’ultimo giorno della convention. Un ringraziamento alla figlia Chelsea, al marito Bill, al presidente Obama, alla first lady Michelle, al vicepresidente Joe Biden, al suo vice in caso di vittoria Tim Kaine e al rivale sconfitto alle primarie Bernie Sanders e ai milioni di americani che hanno votato per lui, assicurando che le loro istanze sono e saranno le istanze del Partito democratico.

«È con umiltà, determinazione e sconfinata fiducia che accetto la vostra nomination a presidente degli Stati Uniti», annuncia una Hillary sorridente, di fronte a una folla che scandisce più volte il suo nome all’unisono. In quasi un’ora di discorso, la candidata democratica alla presidenza degli Stati Uniti offre la sua visione dell’America. Un’America che sa come lavorare insieme, che l’ha dimostrato durante tutta la sua storia. Ed è proprio questo uno dei capisaldi della sua campagna: «We are stronger together», insieme siamo più forti. A differenza di Trump, che si pone come uomo solo al comando, che dichiara di conoscere l’Isis meglio del generali, che non riconosce «il lavoro di medici, agenti di polizia, insegnanti». Ma «gli americani non dicono: metto a posto tutto io. Dicono: mettiamo a posto le cose insieme».

«L’America è a una resa dei conti. Potenti forze minacciano di dividerci. Dobbiamo decidere se lavorare tutti insieme per sollevarci tutti insieme. Perché siamo più forti quando siamo uniti».

E Hillary assicura: «Sarò presidente per i democratici e i repubblicani e per gli indipendenti. Per chi lotta, per chi ambisce e per chi ha successo. Per quelli che votano per me e per quelli che non lo fanno. Per tutti gi americani». «Porterò tutte le voci alla Casa Bianca».

Poi le sue priorità, che grazie alla presenza dei delegati di Sanders sono dettate da un’agenda molto progressista, la più progressista di sempre, hanno scritto diversi commentatori. Il lavoro, innanzitutto: non è tollerabile che chi lavora a tempo pieno non sia in grado di arrivare alla fine del mese. E la creazione del lavoro. Senza mai perdere di vista la minaccia del terrorismo globale: «Non sarà facile – ammette Hillary – ma quello che posso assicurarvi è che alla fine vinceremo».

«Chiunque legga oggi le notizie può capire le minacce e le difficoltà che abbiamo di fronte a noi – ha spiegato Clinton -. Da Baghdad a Kabul, da Nizza e Parigi a Bruxelles, da San Bernardino a Orlando, abbiamo a che fare con nemici determinati che devono essere sconfitti». E senza esitazione Hillary scandisce: «Sconfiggeremo l’Isis».

«Noi non vieteremo alcuna religione. E lavoreremo insieme a tutti gli americani e ai nostri alleati per sconfiggere il terrorismo», ha detto Hillary, ricordando la grande importanza della Nato e dell’importanza della difesa di Israele.

Clinton ha inoltre parlato con chiarezza della sua volontà di introdurre una legge sulla limitazione alle armi negli Stati Uniti, attaccando frontalmente la lobby delle armi e Trump, che la appoggia.

Hillary assicura che renderà l’università gratuita per gli americani appartenenti al ceto medio, cavallo di battaglia di Sanders ed ora di Hillary. Porterà una soluzione al problema del gigantesco debito che grava sulle spalle di tantissimi studenti, solo per aver voluto studiare. E si batterà per l’inclusione di altri milioni di americani all’interno del sistema sanitario.

Come pagherà Hillary tutto questo? Lo dice chiaramente: «Wall Street, le grandi società e i super ricchi devono sottostare a un’equa tassazione. Non siamo contro il successo, ma quando più del 90% dei guadagni va a un 1%, dobbiamo seguire i soldi. E quei soldi devono servire a creare lavoro all’interno del nostro paese». Decisi gli attacchi a Trump, accusato di non pagare i propri debiti e di aver trasferito posti di lavoro in paesi dove i lavoratori vengono pagati meno: «Fabbrica le sue cravatte in Messico e i suoi mobili in Turchia». «Vuole rendere di nuovo grande l’America? Inizi con il riportare di nuovo la sua produzione in America».

E ancora contro Trump, accusato da Hillary di aver mostrato durante questa campagna elettorale di perdere continuamente le staffe per un nonnulla: «Immaginatelo nello Studio Ovale affrontare una crisi reale. Un uomo che si infuria con un tweet non è un uomo a cui possiamo affidare un arsenale nucleare». E ancora, durante l’arringa finale, Hillary parla a chi crede che una volta presidente Trump si comporterebbe in modo più ragionevole: «La verità è che questo è Donald Trump, non ce n’è un altro».

Oggi inizia la vera corsa alla Casa Bianca. Da qui a novembre, la strada è ancora lunga. E la posta in gioco altissima.

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