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Il Financial Times: L’Italia ha perso entusiasmo per le privatizzazioni

In questo articolo apparso sul FT di ieri, e tradotto in italiano per voi, la corrispondente da Milano Rachel Sanderson analizza gli ultimi passi del governo Renzi in materia di privatizzazioni.

26 agosto 2014 – Il primo ministro italiano Matteo Renzi, esperto nell’uso dei media, ha inviato lunedì un tweet nel quale scriveva di essere tornato dietro alla scrivania dopo la pausa estiva. Un elemento irrisolto che figura nella sua lista di cose da fare del dopo-vacanze è il programma di privatizzazioni da 12 miliardi di euro, fermo al palo.

I piani per la vendita dei beni dello Stato e per i tagli di spesa sono due elementi che Renzi ha preso interamente dal suo predecessore Enrico Letta, spodestato a febbraio con una manovra di partito dal trentanovenne ex sindaco di Firenze. Letta, con il sostegno di Bruxelles, aveva subito considerato una priorità la vendita dei beni dello Stato, vista come un mezzo per ridurre la montagna del debito pubblico italiano, salito a oltre 2.100 miliardi di euro.

Il pezzo forte di questo programma, descritto come il più grande piano di privatizzazioni dalla fine degli anni Novanta, prevedeva la vendita da parte del governo del 40 per cento dell’operatore nazionale per i servizi postali, Poste Italiane, allo scopo di ricavare almeno 4 miliardi di euro. Ma Renzi ha fatto marcia indietro dopo il mediocre debutto di mercato, a giugno, della compagnia statale di cantieristica navale, Fincantieri. Le azioni di Fincantieri avevano un prezzo basso e l’azienda ha dovuto tagliare la sua offerta di titoli di un terzo dopo la debole domanda da parte degli investitori internazionali.

Il piano di vendere il 49 per cento del controllore di traffico aereo Enav e dell’agenzia di export controllata dallo Stato Sace è rallentato anch’esso: gli investitori sono diventati diffidenti dopo che i dati di questo mese hanno mostrato che la terza più grande economia dell’eurozona è risprofondata nella recessione nel secondo trimestre. In un’intervista di questo mese con il Financial Times, Renzi ha dichiarato che, dopo l’esperienza con Fincantieri, ha deciso di gestire il processo di privatizzazione con calma per essere sicuro che tutto “sia fatto bene e seriamente”.

«Faremo le privatizzazioni quando saranno in condizioni di fruttare denaro. Non sono nelle condizioni di poter vendere a buon mercato, voglio vendere i nostri beni al loro giusto valore», ha detto Renzi. I banchieri ritengono che la mossa di Renzi di rinviare la quotazione di Poste al prossimo anno o addirittura al 2016 abbia senso: argomentano che dare a Francesco Caio, recentemente nominato amministratore delegato, più tempo per ristrutturare il servizio postale potrebbe permettergli di emulare il successo delle quotazioni della compagnia di Stato Deutsche Post e della britannica Royal Mail.

Gli economisti fanno notare che la terza caduta nella recessione dell’Italia dal 2008 mostra anche che Renzi farebbe meglio a intraprendere prima le riforme strutturali. «Se fai le privatizzazioni senza fare prima le riforme, la valutazione con la quale vendi sarà inferiore poiché gli investitori hanno meno confidenza nella crescita a lungo termine dell’economia», spiega Alberto Gallo, responsabile Ricerca macro credito alla RBS.

Sul breve periodo, tuttavia, i ritardi nel processo di privatizzazione pongono problemi al Tesoro, che sta lottando per realizzare la promessa del governo di tagliare la spesa pubblica di circa 34 miliardi di euro entro il 2016. Al posto della quotazione di Poste, Renzi starebbe considerando la vendita del 5 per cento sia di Eni sia di Enel, affermano fonti vicine al governo. Ai prezzi odierni la vendita di questi pacchetti azionari raccoglierebbe risorse per un valore superiore a 5 miliardi di euro, fornendo un sostegno alle casse del Tesoro. Gli analisti notano che si tratterebbe solo di una soluzione provvisoria.

Gli analisti notano però che si tratterebbe solo di una soluzione provvisoria.
«Anche se un genio facesse sì che tutto filasse liscio, quanto ne ricaverebbe lo Stato? È una goccia nell’oceano. Non è l’antidoto al debito italiano», commenta Francesco Galietti, fondatore di Policy Sonar, una società di consulenza con sede a Roma.

Galietti aggiunge che i più ricchi guadagni per lo Stato italiano potrebbero derivare dalla privatizzazione delle infrastrutture municipali, come le aziende locali dell’acqua, ma il governo Renzi non ha ancora affrontato l’argomento per paura che si possa rivelare impopolare in termini di voti.

VIA/The Economist

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