L'ICONOCLASTA

Oltre il Pil che frena, la maxi recessione. Senza aiuti al prodotto resteremo isolati

Quali sono i veri rischi derivanti dalla crisi del coronavirus? E quanto sono gravi? Ho provato a rispondere a queste domande giovedì su La Stampa.

5 marzo 2020 – Quali sono i veri rischi derivanti dalla crisi del coronavirus? E quanto sono gravi? La risposta a queste domande dipende essenzialmente da due fattori: quando si verificherà il picco dei contagi in Italia e nei suoi principali mercati di esportazione, e quanto serie e repentine saranno le misure finanziarie messe in campo dal governo, dagli altri Paesi, dalla Commissione europea e dalla Bce.

Non vi è dubbio che in assenza di misure economiche d’emergenza più robuste, che vadano ben al di là del pacchetto da 3,6 miliardi di euro attualmente in fase di introduzione per la zona rossa, l’Italia subirà una recessione che, nel migliore dei casi, vedrà una contrazione del Pil dello 0,5% durante i primi sei mesi del 2020. Probabilmente di più. Il fattore critico sarà la rapidità con la quale il governo introdurrà tali nuove misure, che potrebbero costare almeno due o tre volte i fondi già previsti.

«È molto difficile fare previsioni perché nessuno sa quando in Italia si raggiungerà il picco dei contagi», commenta Gregorio De Felice, capo economista di Banca Intesa Sanpaolo. Se il picco non dovesse arrivare nei prossimi dieci, quindici giorni, addirittura più tardi della fine di marzo, la recessione – sottolinea De Felice, e con lui altri economisti – sarebbe molto più grave.

Quasi tutte le principali istituzioni finanziarie mondiali, nei loro calcoli ipotizzano che per l’Italia, per le altre economie europee e per gli Stati Uniti il picco si verificherà durante il primo trimestre del 2020. Al momento però non vi è alcuna certezza, e queste supposizioni potrebbero rivelarsi troppo ottimistiche.

Già su queste basi, gli economisti di Ocse, Fmi e Banca mondiale vedono per quest’anno un calo della crescita economica globale dal 2,9 al 2,5 per cento. Se l’epidemia non dovesse raggiungere il suo picco, per poi rallentare gradualmente, entro il mese di marzo, potremmo trovarci di fronte a una recessione globale più grave.

Ma quali sono le principali, urgenti misure necessarie per attenuare l’impatto economico negativo in Italia? De Felice e la maggior parte degli industriali concordano sul fatto che queste debbano includere interventi mirati a contrastare il calo degli ordini e l’interruzione delle catene di fornitura che stanno ostacolando molte aziende – impossibilitate ad accedere ai componenti per la produzione – e ad alleviare le gravissime difficoltà che sta affrontando il settore turistico italiano, che vale oltre il 13% del Pil nazionale.

Tali misure dovrebbero inoltre includere una sospensione delle scadenze fiscali non solo per la zona rossa e le tre regioni più colpite (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), ma per tutto il territorio nazionale. In secondo luogo, per evitare un forte aumento della disoccupazione, la cassa integrazione dovrebbe essere estesa alle tantissime piccole agenzie di viaggio, ai ristoranti, agli alberghi e alle altre piccole imprese che compongono il comparto turistico. E ancora, sarebbero necessarie delle forme di sostegno finanziario temporaneo anche per le aziende di altri settori, incluso quello delle esportazioni, colpito da un crollo delle ordinazioni, e di conseguenza da un peggioramento del flusso di cassa.

Ma un pacchetto nazionale di misure si rivelerebbe insufficiente se il contagio dovesse continuare a propagarsi, e il picco nei principali mercati di esportazione – come Francia, Germania e Stati Uniti – dovesse essere raggiunto più tardi di marzo. In quel caso si renderebbero necessari incentivi fiscali e aiuti finanziari di emergenza anche in altri Paesi europei e negli Stati Uniti e, ovviamente, a livello europeo. Le belle parole di Bruxelles, intenzionata a fare «whatever it takes» dovranno presto concretizzarsi in denaro sonante. E la Bce, che si riunirà la prossima settimana, dovrà tagliare ulteriormente i tassi di interesse e/o inventarsi qualcosa di innovativo per garantire supporto al sistema finanziario.

Lo scenario migliore prevede che quanto appena descritto accada rapidamente, e che per una volta l’Europa si mostri veramente unita, come si addice a un continente messo di fronte a un’emergenza che potrebbe trasformarsi nella peggiore crisi dal 2008.

Nello scenario peggiore, tuttavia, la quantità di denaro utilizzato potrebbero risultare insufficiente o arrivare troppo tardi, mentre il rallentamento dell’economia americana potrebbe rivelarsi più sostanziale. Goldman Sachs e altri stanno tagliando fortemente le loro stime per gli Stati Uniti nel 2020, da un tasso di crescita previsto del 2% a poco più dell’1%. Alcuni addirittura prevedono un paio di trimestri di crescita zero.

In questo scenario da incubo, l’interruzione della catena di approvvigionamento globale non solo spingerebbe l’Italia in una recessione più pericolosa, ma potrebbe persino inaugurare un periodo in cui un’economia in contrazione sarebbe affiancata da un aumento dei prezzi basato sulla scarsità di merci. Sebbene improbabile, questo scenario prevede interruzioni della catena di approvvigionamento che renderebbero ancora più difficile di quanto sia già per i produttori italiani ottenere componenti, e per i rivenditori fare scorta di scaffali. Senza nulla da vendere, le aziende sarebbero costrette a licenziare i lavoratori, innescando un circolo vizioso di perdite di posti di lavoro e riduzione della spesa per consumi. Intanto, la scarsità di beni farebbe aumentare i prezzi, spingendo l’Italia nella «stagflazione», definita dagli economisti come un’economia stagnante combinata a un aumento dell’inflazione.

Ma il fatto che i prezzi dell’energia stiano in questo momento scendendo, non aumentando, e che l’attuale debole domanda interna in Italia stia mantenendo i tassi di inflazione particolarmente bassi, rendono al momento piuttosto improbabile questo scenario da giorno del giudizio.

Ho chiesto a Jean-Claude Trichet, ex presidente della Bce, come vede l’economia italiana in questo momento. La sua risposta è stata, come d’abitudine, succinta: «Innanzitutto, ci troviamo in una situazione molto seria e incerta a livello globale: siamo tutti nella stessa barca», ha commentato. «In secondo luogo, per quanto sorprendente possa essere, tenendo conto dei dati relativi alle persone infette e ai decessi, gli ultimi indicatori mostrano che a febbraio l’economia degli Stati Uniti è stata più indebolita dall’epidemia rispetto all’economia della zona euro. E infine, concordo sul fatto che l’effetto immediato potrebbe essere sia depressivo sia inflazionistico per l’Italia, ma fortunatamente non è affatto detto che questa situazione si protrarrà nel tempo».

Alla fine, la cattiva notizia è che l’Italia rischia il disastro economico. Ma sono convinto che potrà evitare il peggio se la sua classe dirigente – dalla politica all’industria – riuscirà a restare lucida, rimboccarsi le maniche e fare squadra, e agire con rapidità per stanziare l’aiuto finanziario necessario. Le soluzioni esistono. Ora è il momento di agire.

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