L'ICONOCLASTA

PERCHÉ RENZI MERITA 
IL BENEFICIO DEL DUBBIO

Il mio articolo pubblicato sul Corriere della Sera di oggi.

29 settembre 2014 – In questi giorni non sono mancate polemiche sulle riforme proposte dal governo italiano e sull’operato del presidente del Consiglio. Una parte di questa controversia riguarda il tentativo di modernizzare il mercato del lavoro in Italia attraverso una riforma che ha fatto scatenare una resistenza feroce da parte della Cgil e da una minoranza del Pd. Oggi, con la riunione della direzione del partito, sarà una specie di D-day sul tema.

A mio avviso il dibattito sul Jobs act, più di altre riforme di vasta portata finora proposte dal governo, rappresenta la vera prova del nove per un Paese che deve cambiare, non solo in termini di norme e leggi ma anche in termini di testa, di mentalità. In altre parole, vedremo nei prossimi mesi, da qui a Natale, la capacità dell’Italia di entrare a pieno titolo nel XXI secolo e diventare più competitiva: uno sforzo che si compie in un contesto internazionale in cui solo chi si presenterà con un sistema moderno di regole potrà sperare di creare posti di lavoro e stimolare la crescita. Chi non sarà all’altezza risulterà perdente nella gara economica tra le nazioni.

Il presidente del Consiglio sta spingendo per una trasformazione molto ambiziosa, quasi violenta. E sta provando a realizzarla in un Paese abituato da decenni a cercare delle scorciatoie e a evitare i veri cambiamenti, in favore delle mezze misure o della parvenza di riforme, che definirei gattopardesche. Intendiamoci: non esiste una singola riforma che rimetterà l’Italia sul binario della crescita e dell’occupazione. Siccome l’Italia non ha fatto le riforme che gli altri Paesi come la Germania o il Regno Unito hanno già fatto 10 o 20 anni fa e siccome si trova ora in una fase prolungata di recessione, stagnazione e elevata disoccupazione, non ha alternative. Il Belpaese è arrivato ai tempi supplementari.

Quando negli anni ottanta la Thatcher sconfisse il capo del sindacato dei minatori Arthur Scargill, in un clima analogo a quello in cui si svolge il dibattito attuale sull’articolo 18, chi fu a favore delle riforme dell’economia parlò del fatto che non c’era alternativa. There is no alternative era il ritornello in Gran Bretagna, uno slogan ridotto dai giornali all’epoca nell’acronimo «Tina».

Quando nel 2003 il governo Schröder introdusse una serie di riforme di vasta portata riguardanti il mercato del lavoro, il welfare e il fisco, fu chiaro che senza queste riforme la Germania non sarebbe stata in grado di andare avanti sulla strada della crescita economica.

In Italia siamo arrivati alla stessa situazione. Senza la riduzione di sprechi e di spese pubbliche che ci permette di tagliare in modo radicale l’Irpef e l’Irap, il Paese non avrà futuro. Ma al di là della riforma del fisco ci vuole una riforma della giustizia, della pubblica amministrazione e soprattutto del mercato del lavoro, un mercato che tende a tutelare soltanto gli insider che hanno già un posto e non chi deve ancora entrare nel mercato del lavoro.

Secondo me il trambusto sull’articolo 18 è un artificio non solo per qualche sindacalista che teme di perdere rilevanza ma anche per gli ultrà della minoranza del Pd che non hanno mai digerito la loro sconfitta nelle primarie dell’anno scorso e che non riescono ad accettare il fatto che il mondo è cambiato.

Il presidente del Consiglio avrà tanti difetti. Si può criticare alcune delle sue scelte, si può lamentare la raffica dei suoi annunci mentre si aspetta che il Parlamento approvi le sue riforme. Ma a mio avviso sarebbe prematuro scaricare l’unico leader politico che si è mostrato disposto a rischiare di schiantarsi contro un muro pur di portare avanti una trasformazione dell’economia italiana e che in questo momento vanta un consenso popolare elevato. Nel bene o nel male Renzi incarna una voglia di discontinuità che è condivisa da milioni di italiani e che è anche una necessità per il bene del Paese.

Non credo di essere naïf ed essendo americano non sono politicamente schierato in Italia, ma vorrei concedere il beneficio del dubbio all’operato del governo Renzi perché credo che il cambiamento sia inevitabile in un Paese che non ha altra scelta, che non ha alternativa. Il cambiamento è inevitabile. E se per cambiare il Paese e per sconfiggere la minoranza del suo stesso partito che resiste alle riforme il presidente del Consiglio decidesse di allargare la sua collaborazione con Silvio Berlusconi fino a comprendere anche la riforma del mercato del lavoro io non mi scandalizzerei. Siamo arrivati al momento clou per l’economia italiana. Non importa chi fa le riforme, ma che vengano fatte.

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