L'ICONOCLASTA

Secondo quest’opinionista del Financial Times i falchi europei dell’austerity (a cominciare dalla Merkel) assomigliano al Tea Party degli Usa. Non ha torto.

«La sventura dell’Europa è che la Germania ha esercitato il veto sulle regole budgettarie dell’eurozona fin dalla nascita». Lo scrive da Washington il giornalista del FT Edward Luce in questo articolo, tradotto in italiano per voi.

Groucho Marx, quel celebre economista, ha detto una volta: «Questi sono i miei principi. Se non ti piacciono, ne ho degli altri». Ahimè, il senso pragmatico dello humor di Marx non ha mai attraversato l’Atlantico. Dopo anni di whatever it takes e acqua gettata sul fuoco da parte della Federal Reserve, l’economia degli Usa è sulla rampa di lancio per una crescita moderata. L’Europa, al contrario, rischia di essere sommersa dalle onde. La ragione del divario di crescita tra gli Usa e l’Europa è marxiana. Di fronte al fallimento dei suoi principi, l’Europa si ostina a dire che non ne ha altri. Invece gli Stati Uniti, strada facendo, ne hanno inventati di nuovi. Anche un cieco potrebbe vedere la differenza.

Il problema più profondo dell’Europa è istituzionale. Mario Draghi, alla guida della Banca Centrale Europea, vede la crisi in modo analogo a Ben Bernanke e Janet Yellen, che gli è succeduta alla Fed.

A differenza della Fed, tuttavia, la Bce di Draghi è priva di effettiva autonomia. La Fed è esposta a diverse critiche negli Usa, così come Draghi in Europa. Ma ha il chiaro mandato di ignorarle. Negli ultimi sei anni, i falchi monetari americani hanno messo in guardia dallo tsunami inflazionistico in arrivo. Queste geremiadi sono aumentate d’intensità dopo il rilascio, venerdì, dei dati forti sull’occupazione Usa. Fortunatamente, Bernanke è riuscito ad andare avanti con il suo lavoro. Se avesse ascoltato gli allarmisti, l’economia dell’America non sarebbe oggi in ripresa. Ma questa battaglia non è mai definitivamente vinta. Janet Yellen si trova ora a fronteggiare un nuovo coro.

L’Europa si troverebbe in uno stato molto peggiore di quanto già non lo sia, senza gli sforzi eroici di Draghi. Due anni fa con quel whatever it takes, con la promessa di continuare a pompare liquidità nei mercati, ha senza dubbio salvato l’eurozona dalla disgregazione. Ma le mosse della Bce sono arrivate tardi e sono state meno energiche di quanto avrebbero potuto essere. Draghi è oggi ostacolato dalle stesse limitazioni. Esaminando questa Europa, paralizzata tra una periferia che vorrebbe un’espansione della domanda e un centro che vorrebbe riforme economiche strutturali – quando dovrebbero fare entrambe le cose allo stesso tempo – la Bce resta l’unica possibilità. Draghi sta ancora una volta tentando tutto il possibile. Se otterrà il via libera, il piano della Bce di comprare fino a mille miliardi di Abs del settore privato dovrebbe essere sufficiente a tenere la testa della zona euro fuori dall’acqua. Ma sarà ancora troppo poco.

Il secondo (problema dell’Europa, ndr) è politico. Nel momento clou della crisi finanziaria, Capitol Hill ha votato con una maggioranza stentata a favore di uno stimolo fiscale da 847 miliardi di dollari. Il risultato non è stato ottimale. Era il gennaio 2009, l’economia Usa si era contratta di almeno l’8 per cento su base annua nel trimestre precedente; gli economisti stanno ancora discutendo se lo stimolo fosse sufficiente. Ed era anche mal concepito. Troppo era dilapidato in una riduzione delle tasse scoordinata e frammentata e troppo poco in infrastrutture innovative. Col senno di poi, era anche troppo modesto. Ma è stato abbastanza per trasformare una recessione in una ripresa anemica. È sorprendente che l’Europa sia ancora oggi incapace di fare altrettanto.

È stata la fortuna dell’America che nel 2009 il Tea Party non avesse ancora ottenuto la chiusura dei cordoni della borsa. La politica fiscale americana è in stallo da quando i Repubblicani hanno preso il controllo della Camera dei Rappresentanti nel 2010. La sventura dell’Europa è che la Germania, l’equivalente europeo del Tea Party, ha esercitato il veto sulle regole budgettarie dell’eurozona fin dalla nascita. Se si ascoltano i funzionari tedeschi, e i loro omologhi in altre economie centrali dell’eurozona, la loro filosofia è difficile da distinguere dai repubblicani del Tea Party. La grande recessione è una morality tale che ci siamo autoimposti. Dobbiamo espiare i nostri peccati stringendo la cinghia. Se non ti piacciono i nostri principi, puoi andartene a quel paese.

Quanto tempo ci vorrà all’Europa per seguire la lezione americana? È difficile prevederlo. L’Europa è troppo divisa politicamente e troppo istituzionalmente retrograda da essere in grado di replicare l’approccio della Fed. Il pericolo, in realtà, è che si vada nella direzione opposta.

Con l’uscita, venerdì, del rapporto Usa sul lavoro, si sono rinnovate le richieste alla Yellen di innalzare i tassi d’interesse all’inizio del prossimo anno. Non ci sono segnali di una reale crescita dei salari e i redditi medi sono ancora più bassi di quasi il 10 per cento rispetto a prima della recessione.

Gli Stati Uniti hanno contratto la malattia europea del declino della partecipazione al mercato del lavoro. Gran parte del calo della disoccupazione negli Stati Uniti è il risultato di persone che hanno smesso del tutto di cercare lavoro. Sebbene non ci sia nessun indizio di una tendenza inflazionistica, i falchi vorrebbero che si agisca per anticiparla. Una riduzione precoce potrebbe stoppare il percorso di ripresa degli Stati Uniti e assestare un ulteriore colpo alle prospettive europee di ripresa.

Draghi scambierebbe immediatamente i suoi problemi con quelli della Yellen. Visti da fuori dell’occidente, tuttavia, Usa ed Europa condividono gli stessi problemi, profondamente radicati, posti dall’ascesa del resto del mondo e da una violenta reazione populista contro le norme democratiche.

Gli Usa, quantomeno, sono in condizione di poter valutare delle riforme strutturali, anche se sono politicamente irrealistiche. L’Europa nemmeno questo. Se non altro, dovrebbe guardare al di là dell’Atlantico per capire come ripristinare la crescita. Come un altro celebre economista, Albert Einstein, ha fatto notare: follia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi.

(Traduzione di Luna De Bartolo)

VIA/ The Financial Times

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