L'ICONOCLASTA

Una geometria variabile nelle alleanze europee potrebbe creare una nuova «geopolitica» mirata alla crescita

5 aprile 2014 – Qui in Italia i partiti cominciano a marcare il terreno in vista delle elezioni europee e arrivano i primi segnali di quella che promette di essere una campagna elettorale senza esclusione di colpi, con tanta di quella demagogia anti-euro che abbiamo già visto nel trionfo del partito di Marine Le Pen in Francia. Intanto, a livello europeo, s’inizia a delineare una geometria variabile nelle alleanze che potrebbe portare profondi cambiamenti, non solo nel prossimo Parlamento europeo e nella Commissione europea, ma anche nella concezione di fondo dell’Europa e nella filosofia della futura politica economica per la zona euro.

La geometria variabile si comincia a indovinare dai recenti incontri a Londra e Parigi del nuovo presidente del Consiglio italiano. A Londra, pochi giorni fa, Matteo Renzi si è trovato in sintonia con David Cameron, che vuole e deve alzare la voce contro un’Europa dei burocrati e le troppe regole che, spesso, tendono a disincentivare le imprese e quello stesso mercato libero che in teoria sta alla base dell’Unione europea.

Cameron, come Renzi, vuole protestare contro questa visione troppo miope della tecnocrazia di Bruxelles perché ci crede, ma deve lamentarla anche perché si rende conto che la maggioranza dei britannici (o almeno la metà) è euroscettica, e il partito anti-europeo Ukip sta crescendo nei sondaggi: potrebbe addirittura vincere con il 30 per cento dei voti nazionali, seguito dal Labour e lasciando al terzo posto i Conservative di Cameron.

Anche Renzi deve fare i conti con il sentimento anti-euro della Lega Nord ma anche con un atteggiamento anti-europeista del Movimento 5 Stelle. Quindi, per cooptare una parte di questo elettorato, il premier deve fare la voce grossa anche se è allo stesso tempo costretto a ribadire che l’Italia terrà ordine nei conti pubblici e rispetterà (per ora, almeno) i vincoli del rapporto deficit-Pil e del Fiscal Compact.

Per quanto riguarda la Francia, dove il fronte anti-euro è anche lì in grande crescita, François Hollande si trova sempre più in difficoltà dopo la sconfitta elettorale di domenica scorsa. Il suo rimpasto ha visto la nomina di un nuovo premier che, come Renzi, è apertamente un fan di Tony Blair ed è decisamente più business-friendly del suo predecessore.

Non a caso la Francia, alle prese con gli stessi problemi dell’Italia – una crescita debole del Pil e una disoccupazione elevata –, sta intraprendendo la stessa strategia di Renzi e finalmente si parla di una riforma del mercato (rigido) del lavoro e di tagli delle tasse.

La Francia vuole anche rinegoziare i tempi del suo percorso verso la famigerata soglia del 3 per cento nel rapporto deficit-Pil. Proprio giovedì il nuovo ministro delle Finanze francese, Michel Sapin, ha fatto sapere che il «il passo» della riduzione del deficit del suo Paese andrà discusso con Bruxelles. L’anno scorso, il livello francese era del 4,3 per cento.

Il nuovo asse franco-italiano potrebbe quindi saldarsi su tanti punti, anche se l’Italia, per la grandezza del suo debito pubblico, non può chiedere a Bruxelles di andare oltre il 3 per cento.

Che cosa hanno in comune i nuovi assi anglo-italiano e franco-italiano? Entrambi mirano a limare il potere relativo della Germania di Angela Merkel: il primo per quanto riguarda le riforme dell’Europa in generale e una riduzione del peso burocratico della Commissione; il secondo, mirato a creare più consenso per una politica economica pro-crescita e con meno enfasi sull’austerità.

Si aggiunga a tutto questo il fatto che la Merkel si trova in un governo di larghe intese con i socialdemocratici, e cominciamo a vedere alcuni motivi per cui, a mio avviso, si andrà verso una nuova concezione di fondo dell’Europa e della filosofia della futura politica economica della zona euro.

Poi, se i risultati delle europee a fine maggio porteranno, come sembra, una vittoria relativa per i partiti euro-scettici o anti-euro, il quadro si completerà e avremo un’Europa che sarà costretta a fare una profonda riflessione su quale politica economica sia più adatta alla realtà politica ma soprattutto alle condizioni della macro-economia europea.

Intendiamoci: non sto proponendo né di rinegoziare ora i vincoli europei, né di usare la demagogia per evitare le riforme strutturali fondamentali per rifare il Belpaese (compresi forti tagli alla spesa pubblica, riduzioni importanti non solo nel 2014 ma anche nei prossimi anni dell’Irap e dell’Irpef, una riforma aggressiva della Pubblica amministrazione, la riforma della giustizia civile e un Jobs Act che crei molta, ma molta più flessibilità nel mercato del lavoro). E non credo che la Germania della Merkel accetterà facilmente di cambiare verso.

I presupposti per una nuova «geopolitica» delle politiche economiche in Europa cominciano però a delinearsi, il quadro può diventare molto interessante per un’Italia che riesce a fare le riforme e sconfiggere i gattopardi della conservazione dentro il Palazzo e dentro l’ala sinistra del Pd.

Grazie a un mix di convenienze ed esigenze politiche per Renzi e per altri leader europei, e grazie ai probabili risultati elettorali di maggio e anche alla consapevolezza che le riforme strutturali (anche quelle radicali) sono d’obbligo per riconquistare competitività e produttività, vedo la possibilità di un vero cambiamento nelle attitudini della prossima Commissione e del prossimo Parlamento europeo.

Troppo ottimista? Vedremo.

(pubblicato sul Corriere della Sera di sabato 5 aprile)

ULTIMI ARTICOLI