L'ICONOCLASTA

TAGLI AL FOTOVOLTAICO. GIORGIO GARUZZO: «Io una soluzione l’avrei, facile e concreta. Ha solo una controindicazione: non fallirebbe nessuno. Ma forse non è questo che si vuole».

Giorgio Garuzzo, ingegnere e imprenditore di lungo corso – ex Olivetti elettronica, ex Fiat – ora attivo nel settore del fotovoltaico, interviene nuovamente sulle misure immaginate dal governo Renzi le quali, allo scopo di abbassare di qualche punto percentuale le bollette pagate dalle piccole e medie imprese, andrebbero a penalizzare pesantemente le energie rinnovabili.

Dopo l’intervista realizzata il 12 giugno e pubblicata su questo sito, e dopo l’interesse della stampa estera (Financial Times e Wall Street Journal), Garuzzo decide di scrivere e inviarci questo editoriale ricco di spunti, che pubblichiamo volentieri.

di Giorgio Garuzzo

24 giugno 2014 – Stupefacente. Solo in questo modo posso commentare la bozza di decreto legge, o – meglio – un articolo inserito in un decreto legge pieno di altre cose, che è stata fatta circolare in questi ultimi giorni.

Si dice che gli incentivi si spalmano su 24 anni anziché su 20, ma questa è – al solito in questa storia – disinformazione. La realtà è che dal 2015 gli incentivi vengono tagliati del 20%, oltre alla riduzione che già hanno avuto nel 2014. Chi sopravvivrà, fra vent’anni verrà beneficato ancora per altri 4 anni. Una bella prospettiva!

Ma pochi sopravvivranno a un taglio così,
soprattutto nell’Italia settentrionale, dove il sole illumina i campi per un terzo in meno che al Sud, e per i conti energia più recenti. Quali sono le aziende al mondo che possono sopravvivere ad un taglio del 20% del fatturato, avendo tutti i costi rigidamente determinati?

Il presunto decreto offre una strana ancora di salvezza: un finanziamento bancario, garantito dalla Cassa Depositi e Prestiti, per coprire la differenza tagliata. Stupefacente: un prestito bancario per coprire le perdite di bilancio. Verrebbe istituzionalizzato quello che faceva il signor Calisto Tanzi con Parmalat. Le mie aziende con quel taglio perderanno moltissimo, tre di loro avrebbero perdite tra il 25 e il 35% del fatturato: con che faccia l’amministratore, che già non pagherebbe i debiti pregressi andrebbe a chiedere un ulteriore prestito invece di portare i libri in tribunale? La legge non gli eviterebbe di certo la galera. A meno che non sia già scontato che il prestito non verrà mai restituito dagli operatori meno onesti, e che il conto lo pagherà la Cassa Depositi e Prestiti (cioè i contribuenti). Sono curioso di vedere che meccanismo verrà messo in piedi per questo escamotage gattopardesco, e cosa ne penseranno i revisori dei bilanci.

Il presunto decreto offre anche una seconda alternativa: niente spalmatura ma un taglio secco del fatturato per incentivi dell’8%.

Con questa opzione, le nostre aziende riuscirebbero a pagare gli interessi e quasi i rimborsi alle banche, ma non rimarrebbe più nulla per il nostro investimento, né interessi né rimborsi. La mia famiglia terrebbe lì soldi a reddito zero per vent’anni.

E c’è anche un’altra questione non marginale: se tutti optassero per il taglio del 20% lo Stato perderebbe il 27,5% dell’Ires e il 3,9% dell’IRAP per circa 400 milioni di euro all’anno. Con tale presunto decreto lo Stato dovrebbe mettersi a cercare nuove tasse per coprire la differenza. Nessuno ne fa cenno, per ora… fino a quando qualcuno scoprirà il “mancato gettito”.

Inoltre il valore del capitale investito dai privati, che è superiore a 20 miliardi di euro, verrebbe svalutato di almeno il 20%, cioè di 4 miliardi. In realtà di più, per via del fallimento delle aziende marginali. Un impatto sul PIL di almeno lo 0,2%, se non ho fatto male i calcoli.

Credo che la maggioranza opterà invece per il taglio dell’8%, anche perché pochi investitori, e neppure le banche, avrebbero voglia di prolungare di altri 4 anni il rapporto con lo Stato italiano fra 20 anni, non fidandosi più già oggi. Quindi le tasse mancanti sarebbero “soltanto” 150 milioni.

Ma il danno più grande lo Stato lo sta facendo alla propria credibilità internazionale, alla sua capacità di continuare ad attrarre investimenti esteri nel momento in cui decide di cambiare le regole del gioco a partita iniziata. Si pensi a cosa verrà dopo, con gli investitori italiani e stranieri in causa con lo Stato italiano. Si sono già mossi avvocati e ambasciate dei nostri alleati più influenti e già ne hanno parlato negativamente i più influenti giornali finanziari. Un solo articolo di questi ultimi cancella l’esito di molti viaggi dei nostri primi ministri all’estero a piatire investimenti.

E ancora: dal mercato degli investimenti sono usciti gli investitori seri, quelli disponibili a mettere soldi veri per averne un ritorno ragionevole. Tutte le trattative per cedere campi si sono arrestate con immensi danni per chi avrebbe usato quei soldi per rilanciare le proprie aziende.

Si sono invece messi in movimento i cacciatori di bad debts, pronti a rilevare per un niente le aziende che non riusciranno a far fronte ai debiti. Ho prove di queste cose che dico.

La cosa che mi fa più male, è aver creduto nelle leggi e – evidenzio il termine che assume significato ironico – aver contato sugli incentivi ad investire, essere rovinato e sentirmi dire dai ministri e dalla disinformazione mediatica che gli investimenti nel fotovoltaico sarebbero delle speculazioni, giustamente da punire. Credo che lo stesso Renzi sia contagiato dalla disinformazione che lo circonda. Alla fine – sarà anche lui a pagarne delle conseguenze, se non altro per un atto grave che resterà alla storia.

E sono stupefatto nel sentire il leit motif ancora ripetuto dal ministro Guidi nell’intervista al Sole24Ore di ieri 24 giugno: «Le riduzioni interesseranno solo il 4% degli impianti […] in pratica 8mila operatori su 200mila». Cioè, siccome siamo “solo 8mila” ad avere messo tanti dei nostri soldi, peggio per noi. Un bel ragionamento per una persona che viene da Confindustria. Poi dice «Per tutti… ci saranno… vantaggi… semplificazioni sui nuovi impianti». Ci dobbiamo aspettare una nuova primavera del fotovoltaico?

E poi dice ancora: «Qualche sacrificio per chi in questi anni ha goduto di extrabenefici». La mia famiglia non ha goduto in questi anni di alcun beneficio derivato dal fotovoltaico e, benignamente, non auguro al ministro di dover fare in vita sua un “qualche sacrificio”, che la porti a perdere gli investimenti della sua vita.

I grandi presidenti che han fatto sì che l’Italia non fosse un paese del terzo mondo, Cavour, Giolitti, De Gasperi, avevano tutti una profonda conoscenza della macchina dello Stato, e mai avrebbero fatto delle leggi assurde, o permesso che venissero fatte. Renzi ha tanta buona volontà, ma deve fidarsi dei funzionari. Nella fattispecie, la legge non la fanno neppure i funzionari ma consulenti esterni, il cui curriculum è decisamente polarizzato in direzione degli incombenti. Renzi deve fare molta attenzione a quello che gli fanno dire e fare.

Mi domando, come mai questo accanimento? Ci sono molte cose strane.

Perché toccare solo il fotovoltaico e non il vento e l’acqua? Si dice per non far dispiacere all’Enel, che ha molto idroelettrico.

Perché mettere la legge in un lungo decreto? Si dice per far passare la legge senza discuterla in parlamento, mettendo la fiducia, come fatto in passato per tre o quattro altre variazioni dei “conti energia”.

Perché colpire indistintamente chi guadagna tanto e chi poco? Si dice per far scomparire una parte dei produttori. Soprattutto al Nord, dove si producono più beni per il Paese e il prezzo dell’energia è storicamente più alto essendoci le industrie.

Il Gattopardo è vivo e vegeto: ci sono molti segreti di Pulcinella nel mondo dell’energia, che sono sulla bocca di tutti. La domanda più importante, citata anche dei giornali stranieri, è: perché il calo del prezzo dell’energia degli ultimi anni, propiziato anche dalla concorrenza delle rinnovabili, non è arrivato ai consumatori? Sarebbe il caso di aprire un’inchiesta parlamentare. Ai tempi di Cavour e di Giolitti sarebbe bastato molto meno.

Ormai credo sia difficile per il governo tornare indietro, dopo tutte le dichiarazioni fatte. Però si possono ancora limitare i danni.

Io una proposta ce l’avrei, concreta e facile.

Si lascino gli incentivi come sono, ma si calcoli quanto serve ad ogni campo per pagare le spese vive, gli interessi (ragionevoli) e un ragionevole rimborso dei capitali investiti dalle banche e dai privati, diciamo il 6% all’anno.

Il calcolo è semplicissimo, se fatto sugli importi di cassa: basta vedere i conti in banca delle società, senza calcoli astrusi.

Su quanto rimane dopo tali esborsi di cassa, ciò che gli americani chiamano excess cash flow, si prelevi una tassa uguale a quella dei capital gain, il 26%, sì il ventisei per cento. Excess, non perché sia roba sporca, ma perché supera quanto strettamente necessario per il cosiddetto “servizio” del capitale, cioè per evitare il fallimento e la svalutazione del capitale. Sarebbe davvero, come dice Guidi, un sacrificio per chi gode di extrabenefici.

Una nuova tassa è un fatto di certo meno incostituzionale che non quello di violare i contratti basati su leggi della Repubblica. La tassa è fair in quanto non fa fallire nessuno, perché non si prelevano soldi dove non ce ne sono, ed è equalizzante, perché riduce i guadagni della fascia alta dei redditi dai campi più fortunati. Non si impatta il prelievo di Ires ed Irap, che rimangono invariati.

Questa proposta ha un’unica controindicazione: non fallirebbe nessuno, ma forse non è questo che si vuole

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