L'ICONOCLASTA

ATWITTER ABOUT MATTEO RENZI

Matteo Renzi è davvero in grado di salvare l’economia italiana? È questa la domanda che si pone l’Economist in un lungo articolo di cui vi proponiamo la traduzione in italiano. Buona lettura!

(PHOTO CREDIT: PETER SCHRANK)

Nonostante tutta l’entusiasmo intorno al primo ministro italiano, è capace davvero di salvare l’economia?

Quando Matteo Renzi, a febbraio, è diventato il più giovane primo ministro italiano, è spuntato fuori un vecchio video di lui studente in uno sketch amatoriale mentre recitava la parte di Silvio Berlusconi, il magnate che ha dominato la politica italiana per 20 anni. Schernendo i rivali chiamandoli comunisti, promettendo di raddoppiare i salari e offrendosi di far diventare papa un cardinale, quel Renzi-Berlusconi si metteva poi a cantare promettendo «un governo di persone geniali».

Nella parodia risuona curiosamente una verità contemporanea. Per molti italiani, Renzi assomiglia al Berlusconi della sinistra. Nonostante non sia affetto da una vita sentimentale discutibile, conflitti d’interesse e battaglie con i giudici, Renzi è uno showman, uno che fa notizia, proprio come Silvio Berlusconi. Quando era sindaco di Firenze, è apparso sulla copertina di una rivista, con una giacca di pelle, posando come il Fonzie della serie televisiva “Happy Days”. Se Berlusconi era un esperto di televisione, Renzi è un patito di internet e social media. Come Berlusconi negli anni Novanta, è un outsider uscito trionfante dal crollo di un ordine politico discreditato.

Nei palazzi stantii di Roma, con i loro uscieri in frac, la gerontocrazia è stata spazzata via dai sindaci di provincia. Alle elezioni europee di maggio, il Partito democratico di Renzi (Pd) si è assicurato il 41% dei voti – il risultato più alto per un partito solo dagli anni Cinquanta. A differenza che in altre parti d’Europa, in Italia i ribelli populisti hanno perso consensi. Il Pd è ora il più grande partito nazionale nel Parlamento europeo. Non c’è da meravigliarsi se Angela Merkel, la cancelliera tedesca, abbia recentemente salutato Renzi con l’appellativo di “matador”.

Renzi quindi gode ora di un’influenza inusuale. Una delle ragioni è il suo successo elettorale, che ha in parte legittimato la manovra di palazzo con la quale ha messo da parte il suo compagno di partito, Enrico Letta, nonostante il rassicurante hashtag lanciato su Twitter, #enricostaisereno. Un’altra ragione è la paura dell’alternativa: l’ex comico caciarone Beppe Grillo, il cui Movimento Cinque Stelle è il secondo più grande partito d’Italia. Un terzo fattore riguarda la paura dell’Italia stessa. La terza economia più grande della zona euro è ancora in contrazione (il Pil pro-capite è inferiore rispetto a quando nacque l’euro, nel 1999) e la disoccupazione cresce. Il peso del suo debito pubblico, al 134% del Pil, è il più pesante dopo quello della Grecia. L’Italia è troppo grande per fallire e troppo grande per essere salvata. Se cade, va giù anche l’euro.

Così Renzi si trova a dover fronteggiare una domanda insistente: può salvare l’Italia o si rivelerà inefficace come gli altri prima di lui? Gli italiani ancora citano le parole di un ex primo ministro, Giovanni Giolitti (spesso attribuite anche a Mussolini): «Governare l’Italia non è impossibile, è inutile». Dopo soli quattro mesi al potere, è presto per giudicare Renzi. A parole, quantomeno, sposa riforme di ampia portata e libero mercato. L’Italia deve cambiare per cambiare l’Europa, insiste. La sua promessa di portare a termine una grande riforma al mese era eccessiva. Ora Renzi dice di aver bisogno di 1000 giorni per fare la differenza, non più 100. La sua giovinezza ed energia mostrano dall’altro lato della medaglia una certa inesperienza, improvvisazione e momenti di vuoto. Il suo stile personale potrebbe essere d’intralcio a un governo metodico. Questa settimana, Renzi ha twittato una foto della sua scrivania che intendeva mostrare come stesse lavorando duramente (con l’hashtag #lavoltabuona), ma alcuni hanno visto solo un’accozzaglia disorganizzata di documenti, penne, evidenziatori e un succo d’arancia consumato per metà.

Il risultato più chiaro raggiunto da Renzi riguarda lo sgravio fiscale del valore di 80 euro al mese per i lavoratori meno abbienti distribuito a maggio, giusto in tempo per le elezioni europee. I più importanti, tuttavia, potrebbero essere il cambiamento della costituzione per ridimensionare il Senato e riequilibrare i poteri dello Stato, e una nuova legge elettorale. Il dissenso è ovunque, ma Renzi sembra vicino a un accordo, non fosse altro perché tutti temono le elezioni e il tornado Renzi.

Ma i dubbi restano. Alcuni critici dicono che Renzi abbia firmato un patto con il diavolo (Berlusconi), forse in cambio di promesse nascoste di protezione che in questo modo riabiliterebbero un colpevole di frode. Il focus sui cambiamenti istituzionali distrae dalle riforme più urgenti e necessarie per un’economia stagnante e una burocrazia fossilizzata. Centinaia di decreti e leggi già adottate sono ancora da attuare. I seguaci di Renzi ribattono che bisogna avere a che fare con Berlusconi, come con Grillo, per salvaguardare il cambiamento. E argomentano anche che la riforma istituzionale è la più grande riforma strutturale.

Renzi spera che le sue riforme butteranno giù quella classe politica italiana che pensa solo a se stessa, conosciuta come La Casta. Questa battaglia potrebbe anche finire per sprecare prezioso capitale politico in un gioco da salotto romano. I risultati di Renzi non serviranno a nulla a meno che non riesca a rianimare l’economia. E per riuscirci servono diverse riforme strutturali, che vanno dalle liberalizzazioni alla privatizzazione delle imprese possedute dallo Stato, al rendere più veloci i lenti tribunali, alla lotta alla corruzione endemica. Renzi ha segnato un inizio. Ma dedica troppo tempo facendo lobby in Europa per più «flessibilità» rispetto alle regole fiscali e parla troppo poco del bisogno di maggiore flessibilità nel mercato del lavoro e dei prodotti in Italia. Invece di chiedere deroghe per intere categorie di spesa (ad esempio gli investimenti nel settore dell’informatica), dovrebbe fare di più per tagliare gli sprechi.

Il vero deficit
Renzi ha ragione, l’austerità eccesiva ha danneggiato le economie europee. Ma i problemi dell’Italia, bassa crescita cronica e produttività debole, precedono di molto la crisi dell’euro. Se la Germania si oppone alla condivisione delle passività per rafforzare l’euro, è in parte a causa della sua profonda diffidenza nei confronti dell’Italia. Eurobond comuni? La Germania non vuole essere responsabile per l’enorme debito italiano. Allentare le politiche monetarie? Attenzione a modellare l’euro sulla lira italiana. Trasferimenti più importanti? Non farebbero che incoraggiare l’azzardo morale.

Il deficit più importante col quale Renzi deve vedersela riguarda la credibilità e la mancanza di tempo. L’Italia ha bisogno di riforme per spingere il suo potenziale di crescita e ha davanti a sé anni di sofferenze per ripagare i suoi debiti. Fingere che ci sia una via d’uscita facile e veloce non farebbe che alimentare paragoni poco lusinghieri con Berlusconi. #matteohurryup #matteosbrigati

(Traduzione di Luna De Bartolo)

VIA/ The Economist

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