L'ICONOCLASTA

I dieci giorni più lunghi del governo gialloverde

Un anno fa, nel corso delle trattative per la formazione del governo gialloverde, lo spread superava la soglia dei 300 punti base. Oggi, la spread-fever è tornata a colpire l’Italia. Il mio commento, pubblicato lunedì su La Stampa.

3 giugno 2019 – «La storia non si ripete, però spesso fa rima con se stessa», diceva Mark Twain.

Un anno fa lo spread italiano schizzava verso i 300 punti base, fino a toccare i 320: ai tempi Salvini minacciava che non avrebbe formato un nuovo governo se il suo amato Paolo Savona non fosse stato nominato alla guida del Tesoro, il giovane Di Maio intanto invocava l’impeachment per Mattarella, mentre l’economista della discordia rispolverava il suo famigerato “piano B” per l’euro. Il differenziale tra titoli italiani e tedeschi spiccava il volo.

Per il primo anniversario di quel triste momento, la spread-fever è tornata a colpire l’Italia.

Lunedì scorso il segretario del Carroccio, fresco del suo trionfo alle urne, ha scatenato la volatilità dei mercati. C’è riuscito con l’ennesimo sfoggio della sua retorica antieuro, condito da nuove minacce di gonfiare il debito pubblico italiano fin quando lo riterrà opportuno.

Allo stesso tempo il fido Claudio Borghi, militante no euro di lunga data, ha ricevuto il via libera per mettere insieme una sfilza di dichiarazioni improbabili che ha causato più di un mal di pancia a Draghi e agli investitori internazionali. Ha chiesto a Francoforte di far ripartire il Quantitative Easing per aiutare l’Italia a ridurre lo spread. Poi ha detto a Bloomberg TV che la BCE dovrebbe svolgere un ruolo attivo per stimolare le economie stagnanti finanziando investimenti infrastrutturali, secondo un piano complesso che coinvolgerebbe la Banca europea per gli investimenti. Come se non sapesse che i regolamenti impediscono esplicitamente alla Bce di finanziare i governi.

E, dulcis in fundo, è venuta fuori la strana storia dei minibot, che Borghi una volta ha definito il primo passo verso l’uscita dall’euro, «una maniera subdola di iniziare a introdurre fintamente un’altra moneta senza dir niente a nessuno e senza far capire quello che stiamo facendo». Un piano davvero furbo e ben congegnato.

Non c’è da stupirsi se già venerdì lo spread ha quasi toccato i 300 punti, di nuovo, e per la prima volta dal 2008 la Grecia ha osservato un differenziale più basso dell’Italia, seppur per i titoli a cinque anni. Sì, la Grecia paga interessi più bassi dell’Italia!

Se aggiungiamo a questo caos il giallo della risposta di Tria alla Commissione è evidente perché la credibilità accordata al Belpaese sia in questo momento molto bassa. Eppure, Salvini continua a sbattere i pugni sul tavolo, sostiene di infischiarsene se Bruxelles non approverà i suoi piani di spendere 30 miliardi per la flat tax e altri 23 per prevenire l’aumento dell’Iva: anzi, se gli gira farà tutto questo in deficit.

Ad ogni modo, il 5 giugno arriverà la risposta dell’Europa. E sarà un’altra opportunità per l’ormai premier de facto di dire qualche frase a effetto che farà certamente una gran figura su Facebook e scatenerà l’entusiasmo dei suoi follower, ma provocherà ulteriore volatilità sui mercati, rendendo il Belpaese ancora più soggetto al rischio di una vera e propria crisi finanziaria.

I suoi insulti avranno immancabilmente una ricaduta sullo spread: prepariamoci per nuove mirabolanti avventure e forse qualche richiamo istituzionale, dato che è probabile che la prospettiva di una procedura di infrazione non sia vista di buon occhio dal Quirinale, così come l’idea di una manovra da 50 miliardi in deficit.

E, come se non bastasse, l’Italia deve fare i conti anche con la fragilità della coalizione di maggioranza.

I prossimi dieci giorni potrebbero essere i più lunghi del governo gialloverde: Salvini valuterà se gli conviene staccare la spina e andare a votare a settembre, come suggeriscono alcuni dei suoi fedelissimi, o giocarsela con calma, sul lungo periodo, facendosi portare in carrozza da Di Maio e dai grillini in parlamento, neanche fossero i cavallucci di una giostra, e usandoli per portare a casa la flat tax – Mattarella permettendo, ovvio. Nel frattempo, il M5S è nel bel mezzo di una crisi esistenziale. Riuscirà a tenere o imploderà? Continuerà ad appoggiare il Capitano sulla flat tax, sulla Tav, su tutto? E per quanto tempo?

I prossimi dieci giorni dovrebbero darci indicazioni piuttosto chiare sulla difficile estate e sull’autunno non meno complicato che ci aspettano. Un periodo di stagnazione economica, di incertezza politica e di turbolenze nei mercati, questo è certo. Un periodo in cui le parole, come sempre, hanno delle conseguenze.

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