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My Way – Sarkozy, Merkel e l’Intrigo Internazionale dell’autunno 2011 contro il governo Berlusconi

Mentre la procura di Trani indaga sulla Deutsche Bank per una massiccia vendita di Btp italiani nel 2011, ipotizzando un’accusa di manipolazione di mercato, ecco quello che ho documentato io in My Way: Berlusconi si racconta a Friedman (Rizzoli, 2015) sull’Intrigo Internazionale che ha portato alle dimissioni del governo Berlusconi e l’arrivo dei tecnici capitanati da Mario Monti.

7 maggio 2016 – (…) Quel pomeriggio, dopo aver raccomandato all’Italia di fare ordine in casa, Sarkozy e Merkel tennero una conferenza stampa congiunta che avrebbe stroncato e messo in ridicolo Berlusconi davanti a tutto il mondo. Un giornalista francese chiese a entrambi se si sentissero rassicurati da Berlusconi sul fatto che le riforme economiche promesse sarebbero state davvero messe in atto. La risposta fu un silenzio imbarazzato. Sarkozy si voltò per cercare lo sguardo di Angela Merkel e quando gli occhi si incontrarono spuntò sui loro volti un sorriso d’intesa che si trasformò in una specie di sogghigno malevolo. La cancelliera si concesse l’ombra di una risatina e il presidente francese scrollò la testa più volte con l’aria di chi la sa lunga. All’uscita dalla conferenza stampa, Merkel si voltò verso Sarkozy e bisbigliò una battuta, sentita da alcuni presenti: «Non siamo mai stati tanto efficaci con un semplice film muto».

Per Berlusconi, quel sorrisino fu devastante. Si ritrovò a essere bersaglio di scherno dei leader europei, umiliato pubblicamente da Merkel e Sarkozy in un video imbarazzante che sarebbe stato visto migliaia di volte online.

Berlusconi ricorda quel vertice di Bruxelles come un brutto sogno. Si raddrizza sul divano e annuncia di avere altro da dire su Sarkozy e Merkel.

«Quel sorrisino alla conferenza stampa fu lo stesso giorno in cui Sarkozy rifiutò di stringermi la mano, per la vicenda Bini Smaghi. Davvero lui non riusciva a prendere atto che io non avessi il potere di costringerlo alle dimissioni dalla Bce» ricorda sporgendosi in avanti per confidare un altro ricordo. «Dopo la conferenza stampa, quella sera incontrai di nuovo Angela Merkel, e lei venne da me per scusarsi. “Perdonami,” mi disse “adesso non vorrai più parlare con me.” Ma io le dissi di non preoccuparsi. Mi comportai come al solito, con la consueta generosità. Dissi: “Guarda, sto parlando con te, proprio adesso”. E la cosa finì lì. Lo ricordo distintamente.»

All’improvviso Berlusconi ha un’aria nostalgica: conserva un ricordo molto diverso da quello che la stampa italiana ha sempre riportato dei suoi rapporti con Angela Merkel.

«Apparteniamo allo stesso partito europeo, il Ppe, e ho avuto con lei un rapporto sempre cordiale. Anzi, come usa fra tutti i leader del mondo,» aggiunge Berlusconi con un luccichio negli occhi «le ho sempre fatto degli omaggi personali, che lei ha sempre gradito. Ogni volta che andavo in Germania le portavo questi omaggi.»

Malgrado tutto, Berlusconi ricorda anche che Angela Merkel era in contatto con Giorgio Napolitano durante quei fatali giorni di fine ottobre 2011. «Napolitano telefonava alla Merkel con una certa regolarità» dice con una piccola smorfia mentre pronuncia il nome dell’allora presidente della Repubblica.

In realtà Berlusconi non era l’unica persona a sospettare che Angela Merkel cospirasse in qualche modo contro di lui.

«Quell’autunno Merkel e Napolitano si sentirono spesso, ma non conosco i particolari delle loro conversazioni» dice José Manuel Barroso, che nel 2011, in qualità di presidente della Commissione Ue, partecipò a ogni singolo vertice europeo.

Secondo il «Wall Street Journal», Angela Merkel aveva fatto una telefonata particolarmente importante a Napolitano la sera del 20 ottobre. Era preoccupata della crisi dell’Eurozona e della capacità di Berlusconi di guidare l’economia italiana e mettere in pratica le riforme promesse. Napolitano l’aveva rassicurata per conto dell’Italia e la cancelliera tedesca l’aveva ringraziato in anticipo per quanto sarebbe riuscito a fare per promuovere le riforme. Lo staff di Napolitano negherà che durante la telefonata si fosse parlato della sostituzione di Berlusconi, ma non smentirà la conversazione.

Mentre il mondo di Berlusconi si disintegrava lentamente e lui faceva la spola tra un vertice europeo e l’altro, accumulando colpi su colpi come un pugile suonato, a Washington cresceva la paura che la crisi europea potesse condurre a un crollo e a una depressione capaci di danneggiare le esportazioni americane e l’intera economia globale; il tutto alla vigilia del 2012, l’anno in cui Obama avrebbe dovuto farsi rieleggere presidente.

Ormai l’amministrazione Obama osservava con orrore da molti mesi gli sviluppi della crisi dell’Eurozona. Tim Geithner, in qualità di segretario del Tesoro, era stato il più deciso sostenitore di un firewall da 1000 o 2000 miliardi di euro, un fondo di salvataggio che l’Europa avrebbe potuto e dovuto creare per difendere se stessa e la moneta unica. Per tutto il 2011 restò in stretto contatto con Christine Lagarde, il nuovo direttore operativo del Fondo monetario internazionale, e con la Commissione europea, con i suoi colleghi ministri delle Finanze delle maggiori nazioni e con gran parte dei leader dell’Unione. Angela Merkel, da parte sua, non pareva gradire particolarmente l’attivismo di Geithner: era contraria ad alcune sue proposte, dall’idea di usare la Bce per stampare moneta al sostanzioso contributo che i governi europei avrebbero dovuto garantire al fondo di emergenza, la barriera per proteggere l’economia europea.

La scarsa inclinazione di Angela Merkel per le tesi di Geithner non impedì tuttavia che in quell’autunno 2011 succedesse qualcosa di molto strano, più adatto a un thriller che alle noiose cronache delle relazioni politiche ed economiche tra Europa e Stati Uniti. Si trattava di una proposta particolarmente provocatoria rivolta a Geithner e alla Casa Bianca da Francia e Germania. Tutto cominciò poco prima del vertice del G20, in programma a Cannes per i primi giorni di novembre.

Come Geithner avrebbe in seguito raccontato al team che lo aiutava a preparare il suo libro- memoriale pubblicato nel 2014 (Stress Test: Reflections on Financial Crises): «C’è un vertice del G20, tenuto da Sarkozy in Francia, che fu davvero incredibilmente interessante, una cosa affascinante per noi e per il presidente.

«In realtà gli europei prima dell’incontro ci hanno avvicinato con delicatezza, in maniera indiretta, dicendo: “Fondamentalmente, vorremmo che ci aiutiate a costringere Berlusconi ad andarsene”. Fondamentalmente volevano farci dire che non avremmo appoggiato un prestito dell’Fmi o qualunque altro intervento di cui l’Italia avesse avuto bisogno, se Berlusconi restava primo ministro. Era cool, interessante. Risposi di no» disse Geithner.

«Pensavo che quello che Sarkozy e Merkel stavano facendo era in fondo corretto, mi fu chiaro che il pubblico tedesco, la Germania, non avrebbe accettato di finanziare un grande firewall, più soldi dai contribuenti tedeschi, se Berlusconi avesse continuato a presiedere il governo italiano. In quel momento era in mezzo a uno dei suoi processi per sesso con minorenni e cose del genere.»

Per Geithner, il piano per far fuori Berlusconi poteva anche essere valido, a prima vista, ma faceva scattare troppi allarmi. Ai suoi occhi di americano sarebbe potuto sembrare un’affascinante trama europea, ma era anche un autentico intrigo internazionale mirato a un cambio di regime in Italia. Quel piano, inoltre, implicava lo stravolgimento del ruolo dell’Fmi e l’uso di un’istituzione internazionale come strumento politico per spodestare Berlusconi. Geithner procedette a informare Obama.

Nel suo memoriale Geithner racconta così quei momenti: «Parlammo al presidente di quel sorprendente invito, ma per quanto potesse essere utile migliorare la qualità della leadership in Europa, non potevamo lasciarci coinvolgere in un piano del genere. “Non possiamo macchiarci le mani del suo sangue” dissi».

«Gli europei ne avevano abbastanza di Berlusconi» dichiarò un funzionario americano che faceva parte della delegazione degli Stati Uniti a Cannes. «Cercavano di immaginare un sistema nel quale lui non fosse più il capo del governo. Così si misero a considerare un’idea dopo l’altra. Potevano costringerlo a gettarsi tra le braccia del Fondo monetario? Potevano costringerlo ad accettare un programma dell’Fmi che non prevedesse un prestito?»

La logica era che se Berlusconi fosse stato costretto ad accettare un qualunque prestito dell’Fmi, non avrebbe più avuto nessuna credibilità politica e sarebbe stato costretto a dimettersi.

Altri membri della delegazione americana hanno confermato il piano, a condizione di non essere citati per nome. Uno di loro, un ex funzionario della Casa Bianca che aveva lavorato a stretto contatto con Geithner, è stato ancora più diretto e ha sostenuto che il piano per estromettere Berlusconi fu discusso «ai livelli più elevati. Merkel non poteva sopportare Berlusconi. Sì, avevano questo folle progetto. Ma il presidente non aveva intenzione di lasciarsi coinvolgere. Era una cosa che riguardava i conflitti intestini della politica europea».

Quanto all’idea del cosiddetto piano «precauzionale» dell’Fmi che Berlusconi avrebbe dovuto accettare, lo stesso funzionario americano non usa mezzi termini: «Sarkozy e Merkel non volevano un programma precauzionale. Volevano liberarsi di Berlusconi».

Naturalmente
, gli americani non erano gli unici a essere a conoscenza di quanto stava accadendo. L’ex presidente della Commissione europea Barroso ricorda in un’intervista: «Per me era chiaro che Sarkozy voleva veder scorrere il sangue. Voleva lo scalpo dell’Italia» (…).

My Way: BERLUSCONI si racconta a FRIEDMAN – Capitolo 11 Intrigo Internazionale

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