In poco più di tre mesi il presidente ha fatto crollare l’economia e il dollaro. Reprime ogni forma di dissenso. Il Paese si è trasformato in un’autocrazia
In appena cento giorni, Donald Trump è riuscito a compiere ciò che anche i più pessimisti tra noi temevano, ma a malapena osavano immaginare: un assalto sistematico alla democrazia americana, allo stato di diritto e ai diritti civili fondamentali che da oltre due secoli definiscono la nostra nazione. Dal giorno stesso del suo insediamento, il 20 gennaio 2025, Trump non ha perso tempo nello smantellare le fondamenta dello stato democratico.
La sua prima azione è stata quella di concedere la grazia a 1.600 rivoltosi responsabili dell’insurrezione del 6 gennaio 2021, suoi fedelissimi.
Da allora, Trump ha ignorato sentenze della Corte Suprema, intimidito i principali studi legali e ordinato al suo Ministro della Giustizia di perseguire penalmente i suoi oppositori politici. L’indipendenza della magistratura è oggi sotto assedio diretto.
E non finisce qui. Trump ha scatenato un attacco senza precedenti ai diritti civili, alla ricerca scientifica, alla libertà di stampa.
La libertà di parola è quasi soffocata, l’indipendenza accademica calpestata, e le principali reti mediatiche — Cbs, Cnn, Abc — sono costrette all’autocensura.
I programmi per la Diversità, Equità e Inclusione (DEI), volti a proteggere i cittadini da discriminazioni razziali o sessuali, sono stati cancellati. Al Pentagono, il razzismo è stato istituzionalizzato. Nel frattempo, uomini mascherati appartenenti a forze paramilitari anti-immigrazione arrestano studenti a New York o Boston, in pieno giorno, per poi deportarli semplicemente perché avevano criticato Trump sui social media.
Neanche i bambini malati di cancro vengono risparmiati: neonati di due anni sono strappati dalle braccia delle madri e deportati in Florida dalle squadre anti-immigrati.
La scorsa settimana, il Ministro della Giustizia di Trump si è vantato pubblicamente di aver arrestato un giudice del Wisconsin.
Trump ha varcato diverse linee rosse e ormai una crisi costituzionale negli Stati Uniti sembra inevitabile. Eppure, per ora, i Democratici si fingono morti, il Congresso a maggioranza repubblicana resta supino, e i media hanno paura di evocare il termine “crisi costituzionale” — forse per non dover ammettere che la democrazia americana ha ceduto il passo all’autocrazia.
L’intera nazione sembra paralizzata dalla paura. Metà dell’America, quella che odia Trump, appare stordita e incapace di reagire.
I sondaggi mostrano un calo di consenso per Trump, ma lui non sembra preoccuparsene: forse spera che entro le elezioni di metà mandato del novembre 2026 la situazione migliori a suo favore. La parte forse più subdola dell’assalto trumpiano risiede nella creazione di una nuova classe di oligarchi nella Silicon Valley, uomini la cui fortuna dipende oggi dal regime di Trump. Jeff Bezos, un tempo proprietario coraggioso del Washington Post, si è trasformato in un cortigiano ossequioso. Mark Zuckerberg ha virato Facebook e Instagram verso posizioni reazionarie, inginocchiandosi dinanzi a Trump. Peter Thiel, miliardario neo-fascista, ha imposto il suo pupillo JD Vance come vicepresidente degli Stati Uniti.
Il più potente tra gli oligarchi resta Elon Musk, che con la sua piattaforma X (ex Twitter) ha normalizzato l’odio, sostenendo persino gruppi neo-nazisti in Germania. Come se l’erosione interna della democrazia non bastasse, Trump sta sistematicamente smantellando la politica estera americana tradizionale. Il senso di impegno verso gli alleati europei e la Nato è in forse. La difesa dell’Ucraina è ormai lasciata soprattutto ai soli europei. Trump ha riallineato gli interessi americani a quelli di Mosca e di Vladimir Putin, mostrando disprezzo per l’Unione Europea. Al Cremlino si brinda: lo champagne scorre nei corridoi del potere russo.
Trump può occasionalmente fingere di essere duro con Putin, ma in fondo lo adora. Desidera una vera e propria partnership d’affari tra Washington e Mosca. In Turchia, il dittatore Recep Tayyip Erdoğan ha tratto coraggio da Trump e ha arrestato il suo principale rivale politico, il sindaco di Istanbul. Benjamin Netanyahu, in Israele, gode di carta bianca da parte di Trump — salvo il divieto esplicito di bombardare l’Iran. Oligarchi, autocrati e dittatori di mezzo mondo si rallegrano.
Il nuovo messaggio di Trump al mondo è chiaro: il diritto della forza prevale sulla forza del diritto. L’ordine liberale internazionale, che ha garantito la stabilità globale per ottant’anni, è ormai in coma irreversibile. Stiamo tornando alla legge della giungla. Nel mentre tradisce gli alleati e abbraccia i despoti, Trump sabota anche l’economia americana — e quella globale.
Il 20 gennaio 2025, l’economia Usa cresceva del 2,5%, l’inflazione era in calo, la Federal Reserve si preparava a tagliare i tassi. La disoccupazione era al 4,2%, la fiducia dei consumatori elevata, Wall Street prosperava, il dollaro era forte. In breve: l’economia statunitense era l’invidia del mondo. Ma le guerre commerciali sconsiderate di Trump hanno rovesciato tutto.
I dazi imposti alla Cina equivalgono a un vero e proprio embargo commerciale. Le sue minacce di licenziare il presidente della banca centrale americana e le sue politiche tariffarie ondivaghe hanno portato il mondo sull’orlo di una crisi finanziaria. Il dollaro è in caduta libera.
Gli spread sui titoli di Stato Usa si impennano. Quest’anno, l’America sarà fortunata a registrare una crescita dell’1,5%, mentre l’inflazione esplode a causa dei dazi. Anche se alle elezioni di metà mandato del 2026 i Democratici dovessero riconquistare la Camera, poco cambierebbe: Se il Senato resta nelle mani dei Repubblicani rigetterebbe ogni tentativo di impeachment, garantendo la prosecuzione indisturbata del regime semi-autoritario di Trump.
Oggi, negli Stati Uniti, l’erosione della democrazia avanza, con pochi ostacoli. Governati da un narcisista autocratico, che sembra provare una perversa soddisfazione nelle disgrazie altrui, siamo testimoni di un drammatico e rapido declino. L’America dell’aprile 2025 non è più il faro di speranza e democrazia che un tempo rappresentava.
In quasi due secoli e mezzo di storia, gli Stati Uniti non sono mai stati così vicini all’orlo dell’autocrazia come lo sono oggi.