Si rischia lo stop del pacchetto di 220 miliardi del Pnrr e per il Paese significherà entrare in recessione.
Il mio editoriale pubblicato su La Stampa
Negli scontri e nelle arroventate discussioni sulla fine del governo Draghi si sono viste molte dita puntate, molte scenate e molte analisi a posteriori. Quello che non si è visto, invece, è un avvertimento serio e lucido da parte di uno qualsiasi dei leader dei partiti politici riguardo agli enormi rischi ai quali l’economia italiana dovrà fare fronte, mentre ci addentriamo in una lunga e torrida estate di pesante campagna elettorale e di pesanti turbolenze politiche. Permettetemi, quindi, di descrivere lo scenario economico contro il quale molto presto si reciterà lo psicodramma politico italiano.
In Europa l’inflazione è fuori controllo, trainata verso l’alto dalla strumentalizzazione da parte di Putin dei prezzi energetici come espedienti di una guerra economica, ma anche dalle prolungate interruzioni delle catene di approvvigionamento e da una parziale deglobalizzazione. Il rischio di stagflazione è concreto. Le economie di Francia e Germania, probabilmente, entreranno presto in recessione: nell’insieme rappresentano il mercato di circa metà delle esportazioni totali dell’Italia. I tassi di interesse in crescita ben presto danneggeranno molte aziende italiane e costeranno ai contribuenti italiani più soldi, anche perché uno spread più alto implica che pagare gli interessi sul debito pubblico italiano costerà molto di più. Il tasso di inflazione alle stelle avrà effetti devastanti sulle piccole imprese e le famiglie. I ristori pianificati fino a questo momento per entrambe si sono rivelati del tutto inadeguati e ciò probabilmente significa che in Italia il messaggio populista a favore di uno scostamento di bilancio e di un ritorno alle libere modalità di spesa del passato si rivelerà un efficace mezzo per acchiappare voti alle elezioni.
Ogni volta che Salvini chiederà che sia abolita la riforma Fornero delle pensioni o suggerirà di abbassare l’età pensionabile i mercati finanziari avranno un sussulto. La campagna politica sarà costellata di irresponsabili e costose promesse elettorali e ogni volta che ciò accadrà – oppure ogni volta che Giuseppe Conte difenderà il pasticcio del reddito di cittadinanza – la Commissione europea inorridirà e gli investitori internazionali venderanno i titoli italiani. Proprio come accadde nel maggio e nel giugno 2018 una vittoria degli irresponsabili populisti – soprattutto quelli che hanno contrastato l’euro – farà sì che i mercati finanziari scommetteranno contro l’Italia. Forse, per l’Italia, sarà necessario utilizzare il nuovo meccanismo di acquisto dei titoli della Banca centrale europea.
Nemmeno un leader di partito si è fatto avanti per spiegare che il modo migliore per pompare soldi nell’economia ed evitare la recessione è mantenere continuo l’afflusso dei fondi del Pnrr fino al 2026, in tutto 40 miliardi di euro ogni anno per cinque anni. Il modo migliore per persuadere Bruxelles che anche senza Draghi il governo italiano si impegnerà in una gestione scrupolosa e responsabile del Pnrr è continuare con le riforme, tra le quali quelle della giustizia, della concorrenza, dei codici d’appalto, del fisco e delle politiche per l’occupazione. Il modo migliore per mettere a repentaglio l’erogazione dei soldi del Pnrr è opporsi a queste riforme oppure, forse peggio, proporre il ripristino della Quota 100, l’abolizione della legge Fornero o abbassare l’età pensionabile.
Ogni sei mesi Paolo Gentiloni e l’équipe della Commissione europea dovranno valutare i progressi dell’Italia in questi ambiti di riforma e, qualora non dovessero essere soddisfatti, l’Italia non percepirebbe più denaro. Finché Mario Draghi era a Palazzo Chigi la Commissione europea ha continuato a erogare i fondi, anche se ciò ha significato chiudere gli occhi a fronte di tante riforme annacquate o che rappresentavano solo il minimo indispensabile. Senza Draghi, indubbiamente, i giudizi saranno molto più severi, soprattutto se Meloni e Salvini dovessero arrivare al governo e se sembreranno offrire contro-riforme, che smantelleranno le riforme importanti, al fine di favorire i sostenitori e gli elettori di parte. Se la raffinatezza economica del prossimo governo si dovesse riassumere in accordi elettorali di tutela dei tassisti romani e delle concessioni balneari, l’Italia si troverebbe molto presto in guai seri.
Quali sono, dunque, le prospettive economiche per l’Italia nel dopo-Draghi? Lo dirò senza tanti giri di parole: perché l’Italia riesca a mantenere un dignitoso tasso di crescita del Pil, dal 2023 in poi, il che significa almeno l’1,5 per cento annuo per i prossimi anni, ed evitare la recessione, dovrà mettere le mani sui 220 miliardi dei fondi del Pnrr. Affinché, alla fine di quest’anno, Bruxelles approvi la prossima tranche di 20 miliardi all’Italia sarà indispensabile approvare decine di progetti di riforma, alcuni dei quali controversi. In sintesi: per avere fondi reali saranno indispensabili riforme reali, non fasulle. Poi, per gli anni seguenti, le riforme richiederanno attente misure attuative, dettagliate in modo particolareggiato e coordinate con la massima attenzione, per essere poi instradate in un certosino processo di attivazione che le implementi a dovere ed entro i tempi previsti. E’ a questo che si riferiscono i politici, quando usano l’espressione «mettere a terra il Pnrr».
Se il 25 settembre i populisti prevarranno sui pragmatisti, l’Italia potrebbe trovarsi in seri guai economici per due motivi. Primo: molti populisti, di destra e di estrema destra, non vogliono «mettere a terra» sul serio il Pnrr, ma semplicemente fare una serie di stravaganti promesse elettorali a prescindere dai costi, perché questo è quello che fanno i populisti in campagna elettorale. Dal punto di vista storico, l’estrema destra italiana non ha mai favorito sul serio un libero mercato reale o una reale economia moderna: rappresenta coloro che oppongono resistenza al cambiamento e si accontenta di soddisfare il corporativismo antistorico per acchiappare voti. Secondo: l’esperienza del governo gialloverde, con la Quota 100, il reddito di cittadinanza e il Decreto Dignità, ha dimostrato che quando si tratta di gestire la politica economica i populisti molto semplicemente non sono granché competenti.
Questo è dunque il quadro economico e politico che l’Italia si trova ad affrontare. Incombe una pericolosa crisi economica, la crisi energetica ci sta già colpendo e la guerra di Putin prosegue. L’Europa sta affrontando uno spostamento di paradigma sia in geopolitica sia in geoeconomia a causa della guerra di Putin contro la democrazia liberale occidentale. È un periodo pessimo per perdere le competenze di Draghi. I 220 miliardi di euro del Pnrr, un’opportunità unica, con un solo precedente nel 1951 all’epoca del Piano Marshall, saranno fondamentali, se l’Italia intende evitare la recessione e avere un futuro economico con prospettive ragionevoli. Eppure, il Paese sembra avvitarsi in un vortice di confusione. Il rischio che l’Italia sprechi l’occasione del secolo adesso è altissimo.
Traduzione di Anna Bissanti