L'ICONOCLASTA

C’era una volta in America: l’addio a Carter riunisce i 5 presidenti che hanno accelerato il declino Usa

Clinton, Bush, Obama, Biden e Trump riuniti per l’addio a Jimmy Carter. Sono i cinque presidenti che hanno accelerato il declino degli Stati Uniti e l’avanzata di Putin e Xi

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Jimmy Carter è stato un grande presidente, nonostante la Storia finora lo abbia giudicato un fallimento a causa della crisi degli ostaggi in Iran che ne afflisse la presidenza. È stato un mediatore di pace in Medio Oriente, un instancabile difensore dei diritti umani e ha vinto meritatamente il premio Nobel per la Pace nel 2002 per lo straordinario lavoro fatto dopo aver lasciato la Casa Bianca per porre fine a guerre e conflitti.

Giovedì, nella National Cathedral di Washington dove si è svolto un grande funerale di Stato per il trentanovesimo presidente degli Stati Uniti, la famiglia Carter si è seduta a destra, i cinque presidenti americani in vita si sono seduti a sinistra.

In prima fila a sinistra si sono seduti il presidente Joe Biden e la moglie Jill, e alla loro sinistra la vicepresidente Kamala Harris e il marito Dough Emhoff. Il presidente Bill Clinton ha occupato il posto sulla seconda panca lungo il corridoio interno della navata insieme alla moglie Hillary, l’ex Segretaria di Stato. Alla sinistra di quest’ultima si sono seduti il presidente George W. Bush e la moglie Laura, e poi il presidente Barack Obama da solo, senza Michelle. Infine, in fondo, era seduto l’uomo che pochi dei partecipanti al funerale avevano voglia di vedere, l’ex e futuro presidente Donald Trump accompagnato dalla moglie Melania.

Seduto accanto a Obama, Trump è apparso a disagio, anche se i due hanno scambiato alcune parole e sorrisi prima che avesse inizio il servizio funebre. Il viso di Trump è apparso poi a tratti impaziente, e a tratti annoiato. Forse, stava pensando al fatto che venerdì riceverà la sentenza ufficiale che ne conferma la condanna per 34 capi d’accusa, tra cui frode e pagamenti illeciti a una pornostar. Se Jimmy Carter è stato la quintessenza della pietas cristiana, Trump di sicuro non lo è.

Clinton, Bush, Obama, Biden e Trump seduti vicini, uno accanto all’altro. L’immagine di questi uomini al funerale di giovedì è iconica, ma è anche un triste memento delle occasioni che sono state sperperate dai presidenti degli Stati Uniti negli ultimi decenni. Lì riuniti, infatti, sono comparsi i cinque uomini che hanno presieduto al declino dell’influenza e della leadership dell’America, cinque uomini i cui errori di valutazione sono costati all’America la sua pretesa di essere la “Città sulla collina”. Cinque uomini i cui disastri in politica estera hanno accelerato il declino dell’impero americano, in alcuni casi cedendo spazio geopolitico a Putin, a Xi e ad altri nemici della democrazia.

Bill Clinton ha iniziato il suo mandato nel gennaio 1993, mentre l’Unione Sovietica stava implodendo, e ha governato fino al gennaio 2001 senza mai sviluppare una strategia coerente per gestire il mondo post-Guerra fredda. In quel mondo unipolare l’America aveva l’opportunità di elaborare un futuro ordine mondiale, ma l’ha sprecata. Clinton, all’opposto, si è accontentato di essere il principale capo della tifoseria della globalizzazione. Ha citato spesso frasi ed espressioni estrapolate da Frances Fukayama e Tom Friedman (nessuna parentela con il sottoscritto), secondo i quali il neoliberalismo aveva vinto la battaglia per la supremazia e questo significava “la fine della Storia” e il trionfo di un mondo globalizzato.

Lo sprovveduto abbraccio alla globalizzazione da parte di Bill Clinton ha esacerbato le disuguaglianze economiche. La deregolamentazione degli strumenti derivati che Clinton ha concretizzato – a favore della quale avevano esercitato pressioni il Segretario del Tesoro Larry Summers e l’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan – ha fatto sì che la crisi dei subprime diventasse una catastrofe su vasta scala e che questa portasse alla crisi finanziaria del 2008. Il suo abbraccio alla globalizzazione ha provocato disparità di reddito e la delocalizzazione dei posti di lavoro che, a loro volta, hanno innescato il populismo dei primi anni del XXI secolo.

Lo sconsiderato raptus imperialista di George W. Bush, esemplificato al meglio dalla disastrosa invasione dell’Iraq con falsi pretesti e così pure dalla sua guerra in Afghanistan, hanno fatto precipitare la nazione in conflitti protratti e dispendiosi. Le sue due guerre fallite hanno messo in piena luce i limiti della potenza americana. La sua incompetenza, sommata a quella del suo successore alla presidenza, Barack Obama, hanno provocato l’ascesa dell’Isis e hanno finito con il dare il controllo indiretto dell’Iraq agli ayatollah iraniani.

L’incompetente gestione della Primavera araba di Barack Obama ha logorato ancor più la credibilità e l’influenza dell’America sullo scenario mondiale. Obama ha fatto fiasco anche nella gestione della Libia, con la collaborazione di Hillary Clinton che alla morte di Muammar Gheddafi scoppiò allegramente a ridere. A differenza di Jimmy Carter, Obama non si è meritato il suo premio Nobel per la Pace.

Tra il gennaio 2017 e il gennaio 2021, l’isolazionismo del presidente Donald Trump, le sue guerre commerciali, le sue posizioni antieuropee e ostili alla Nato, la sua adulazione nei confronti di Putin e il suo disprezzo per il multilateralismo hanno compromesso l’ordine liberale mondiale e lasciato alla governance globale una leadership statunitense vuota. La prima presidenza Trump ha incoraggiato gli autocrati di tutto il mondo. Il suo sprezzo per le norme democratiche in patria ha esasperato la polarizzazione interna e intaccato considerevolmente lo status dell’America di faro della democrazia e dei diritti umani. L’aver incitato, quattro anni fa, l’insurrezione in Campidoglio resta tuttora la prova di quanto Trump disprezzi le leggi costituzionali. La sua seconda presidenza inizia tra dieci giorni.

Ancor prima di insediarsi nello Studio Ovale, Trump sta minacciando come un pazzo di ricorrere all’uso della forza militare contro la Danimarca e Panama, sta continuando a ripetere come una cosa seria che il Canada dovrebbe essere acquisito dagli Stati Uniti, sta ripetendo i punti salienti sull’Ucraina del Cremlino. Tutte le azioni di Trump legittimano le pretese avanzate da Vladimir Putin sulla Crimea e sul Donbass, e quelle di Xi Jinping su Taiwan. Il futuro ha in serbo questo per il mondo: un presidente degli Stati Uniti che viola tutte le leggi internazionali e crea a Washington un’oligarchia antidemocratica in combutta con Elon Musk e altri miliardari.

La guerra in Ucraina ha già portato Trump a ordinare ai suoi tirapiedi al Congresso di votare contro l’invio di ulteriori aiuti militari a Kiev. Possiamo solo aspettarci che, una volta diventato presidente, il perverso rapporto di Trump con Putin indebolisca e fiacchi ancor più l’influenza americana nel mondo, incoraggiando e legittimando i dittatori di ogni latitudine.

Nel frattempo, Musk è evidentemente autorizzato (forse pure incoraggiato) da Trump a intimidire, minacciare e insultare i leader eletti di Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna e altre democrazie ancora. Musk appoggia vigorosamente i neonazisti in Germania. La maggior parte dell’Europa lo considera una minaccia alla democrazia. C’è un unico leader di un Paese del G7 con il quale Musk si mostra gentile; in parte, forse, perché mira a un contratto.

Tutto questo non salva Joe Biden: il disastroso ritiro da Kabul nell’agosto 2021 da lui disposto ha messo a nudo tutta la sconsideratezza dell’accordo di Trump con i talebani, così come la follia dello stesso Biden che non ha dato ascolto ai suoi consiglieri dell’intelligence e della Difesa. L’incapacità di Joe Biden nel contenere Netanyahu in Israele sarà ricordata come un segno della debolezza americana, se non peggio.

Al funerale di Carter di giovedì erano dunque presenti tutte le cinque facce della presidenza americana. Quattro di loro – Clinton, Bush, Obama e Biden – sono stati presidenti che, nonostante le loro differenze politiche o i loro errori, hanno sempre rispettato la Costituzione, le leggi e le consuetudini della democrazia americana. Il quinto – l’unico ospite davvero sgradito al funerale – è l’uomo che presterà giuramento il 20 gennaio.

Traduzione di Anna Bissanti

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