L'ICONOCLASTA

Così la destra di Trump dilania i repubblicani

Il mio editoriale pubblicato oggi su La Stampa.

Il partito repubblicano è a pezzi, è dilaniato, ed è improbabile che riesca a trovare una qualche compattezza nel breve termine.

Tutto questo a causa della rivolta dei deputati dell’ultra destra trumpiana, quella che non accetta Kevin McCarthy, il candidato di centro destra alla carica di Speaker della Camera. La ribellione è animata da un piccolo ma potente gruppo di ultraconservatori, che formano il cosiddetto Freedom Caucus. Sono riusciti a impedire a McCarthy di conquistare i 218 voti su un totale di 435 che gli avrebbero permesso di raggiungere la maggioranza semplice alla Camera. E tutto questo nonostante McCarthy avesse vigliaccamente acconsentito alla loro richiesta di lasciare la porta aperta in futuro a una possibile mozione contro di lui, per rimuoverlo dalla carica.

Di solito chi ottiene la maggioranza alla Camera nomina il proprio candidato alla carica di Speaker e l’intero partito vota compatto. Solo una volta, negli ultimi cento anni, nel 1923, uno Speaker non è riuscito a farsi eleggere alla prima votazione. Insomma, adesso che 20 trumpiani dell’ultra destra hanno umiliato McCarthy, entriamo in territorio sconosciuto. A differenza dell’Italia, dove il presidente della Camera viene eletto a scrutinio segreto, a Washington i 435 deputati dichiarano il proprio voto pubblicamente, a chiamata. Uno per uno, nome dopo nome. Per diventare Speaker (ovvero la terza carica dello Stato, dopo il presidente e il vicepresidente) bisogna raggiungere 218 voti, la maggioranza semplice.

I democratici hanno 212 seggi, i repubblicani 222, uno è vacante. Ma alla terza, quarta e quinta e sesta votazione, martedì, sono riusciti bocciare McCarthy. In 20 hanno sbarrato la strada al loro stesso leader: disertori, oppositori, nemici che sembrano irriducibili e indisponibili a scendere a patti con McCarthy. Ma chi sono i 20 trumpiani dell’ultradestra? Che cosa vogliono? Dodici di loro non riconoscono i risultati delle elezioni del 2020. Negazionisti del voto. Diciassette hanno ricevuto l’endorsement di Trump alle elezioni di mid term. Trumpiani di ferro. Ma Trump stesso nel frattempo ha dato il proprio appoggio a McCarthy. Il che rende il tutto ancora più surreale. I 20 vedono lo sfortunato McCarthy come una delle cause delle disfunzionalità di Washington, anche se Trump lo sostiene. Potremmo dire che sono più realisti del re. Potremmo dire che sono pazzi. Potremmo dire che sono palle di cannone che rotolano senza controllo sul pontile della democrazia americana. Ma in realtà i deputati del Freedom Caucus sono gli eredi della tradizione del Tea Party della destra radicale del partito. Una fazione piccola ma capace di terremotare il quadro politico.

Volete un motivo per preoccuparvi davvero delle condizioni di salute del Congresso americano? Vi prego di notare che un totale di 180 deputati sui 222 che i repubblicani hanno eletto alla Camera a novembre hanno messo in dubbio la validità delle elezioni presidenziali del 2020. Parecchi di loro dimostrano nei confronti del presidente Biden un atteggiamento molto simile a un odio viscerale. O quantomeno a una marcata, ostile aggressività. La sola cosa che dovrebbe unire la gran parte dei repubblicani nel 2023 sarà il lancio di una slavina di nuove “indagini” sulla famiglia Biden, a cominciare dal figlio del presidente, Hunter. Per i prossimi due anni possiamo anche aspettarci un’inchiesta del Congresso dal sapore felliniano su Nancy Pelosi e sulla commissione che ha indagato sull’insurrezione del 6 gennaio. Possiamo aspettarci altre teorie del complotto sulle avventure di Hunter Biden. Ma i repubblicani non possono fare nulla di tutto questo fino a che non sarà eletto lo Speaker, fino a che non saranno nominati i presidenti delle commissioni, fino a che i vari membri e deputati non presteranno giuramento. Ecco perché c’è bisogno di uno Speaker.

Il vero problema è che l’umiliazione che i trumpiani hanno inflitto a Kevin McCarthy è solo un sintomo di una crisi molto più profonda, che investe i repubblicani addirittura da prima della presidenza Trump. È in corso una guerra per l’anima del partito, una battaglia per il controllo che è cominciata più di due decadi fa e che oggi si manifesta come una resa dei contri tra trumpiani e No-Trumpers, tra moderati ed estremisti di destra in stile Freedom Caucus. Ecco perché Ron DeSantis, il governatore della Florida che è considerato “il Trump dell’uomo che pensa”, suscita tante speranze tra i repubblicani. Ma adesso il partito è nei guai. La sua efficacia al Congresso potrebbe risultare compromessa per il prossimo anno, forse per i prossimi due: una situazione che potrebbe aiutare Biden a tendere la mano a qualche repubblicano moderato e a stringere degli accordi su specifiche iniziative legislative.

Un partito repubblicano davvero unito è una prospettiva improbabile nel breve periodo, e Biden è un negoziatore esperto che conosce bene il Congresso. Non è quindi da escludere che sia proprio lui il primo beneficiario della crisi esistenziale e della possibile frammentazione del partito repubblicano. Il presidente democratico, il cui partito controlla il Senato, potrebbe uscire rafforzato dal caos in cui versano i suo avversari, anche nel caso in cui dovesse trovarsi a fronteggiare tutta una serie di “indagini” farlocche dei repubblicani, a prescindere da chi verrà eletto Speaker. Alla Camera, nel frattempo, i democratici hanno votato uniti, senza defezioni, per Hakeem Jeffries. Il carismatico deputato di New York, che ha preso il testimone di Nancy Pelosi come leader della Camera, è visto come la stella nascente del partito. Mentre i repubblicani erano scossi dalle convulsioni, i democratici sono rimasti uniti. Almeno questa volta.

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