Oggi è il giorno in cui noi americani decideremo se vogliamo continuare il nostro esperimento con la democrazia che dura da 248 anni o se invece desideriamo diventare una democrazia illiberale, con un autocrate alla Casa Bianca che si inchina davanti a Vladimir Putin e che afferma che il più grande statista europeo è Viktor Orbán.
Oggi una manciata di americani in sette stati che costituiscono l’“America profonda” decideranno non soltanto il destino dell’America ma anche quello di ciò che rimane della democrazia liberale occidentale.
La profezia di Putin si avvererà e l’ordine mondiale esistente guidato dagli Usa diventerà “obsoleto”? Un individuo collerico e impulsivo come Trump concretizzerà le sue minacce contro gli alleati della Nato e contro i partner commerciali europei dell’America? Darà carta bianca a dittatori come Putin e ad estremisti come Benjamin Netanyahu per lasciare che portino a compimento i loro fini con il beneplacito della Casa Bianca? La risposta, probabilmente, è sì. In ogni caso, presto lo scopriremo. Forse no.
Kamala Harris è piuttosto carismatica e telegenica. Si porta dietro tuttavia molto del peso di Biden, è rallentata dai suoi legami con l’impopolare presidente. Il fatto stesso di non essere Joe Biden le ha dato durante l’estate un grande slancio nei sondaggi.
Adesso però deve far fronte a una corsa testa a testa che finirà sul fil di lana. Nessuno sa chi vincerà le elezioni. I due candidati sono troppo vicini per poterlo capire. Molti miei amici a New York, San Francisco e Washington fanno fatica a dormire. Dicono di sentirsi nervosi, irrequieti e a disagio. Il pensiero stesso di potersi svegliare mercoledì mattina con una seconda presidenza Trump è nauseante per alcune persone.
Nel frattempo, come sostengo nel mio nuovo libro La fine dell’impero americano, a prescindere da chi sarà presidente il 20 gennaio 2025 il Paese sarà ancora in declino. Queste elezioni decideranno se l’America tiene alla democrazia come forma di governo. Non potranno in ogni caso fermare il costante declino della leadership e dell’ascendente dell’America.
Ci stiamo avvicinando alla fine del “secolo americano”, il periodo di dominio globale e di egemonia americana iniziato negli anni Quaranta. La Pax Americana non funziona granché bene di questi tempi. I pilastri del sistema come l’Onu o la Banca Mondiale o l’Organizzazione Mondiale del Commercio sono arrugginiti, meno rilevanti e meno importanti di prima.
Noi americani abbiamo gestito male il nostro impero; il fallimento della politica estera statunitense recente è una storia lunga e tortuosa costellata di errori, incompetenza e ipocrisia. Abbiamo sperperato il mondo unipolare post-Guerra fredda, e adesso ci troviamo sempre di più davanti un mondo senza ordine, nel quale la democrazia non sempre prevale sull’autocrazia. Si tratta di un mondo nel quale inoltre le nazioni del Sud Globale hanno poco da guadagnare dall’adesione a relazioni geopolitiche monogame esclusive con gli Stati Uniti o con la Cina. Andiamo verso un periodo incerto e buio, temo.
Nel frattempo, in Europa l’aggressione di Putin ha dimostrato che gli alleati della Nato hanno ancora un grande bisogno della protezione militare di Washington. Per gli europei l’obiettivo è rivitalizzare e rafforzare la Nato. Il nocciolo della questione, però, non è spendere una data percentuale del Pil per la Difesa, come chiede Trump; il punto è concretizzare la visione di Luigi Einaudi, che nel 1954 suggerì per primo una politica di Difesa comune europea. L’Europa potrebbe realizzare il sogno di Einaudi senza spendere altri soldi, ma avrebbe bisogno di un tipo di volontà politica che per il momento non esiste nei singoli Paesi europei.
Purtroppo, nel 2024 un’Europa divisa pare ancora incapace e non disposta a creare una compagine europea per la Difesa, mentre manca una politica estera comune. Per l’Europa si tratta di un grosso problema. Il mondo post-Guerra fredda si è concluso nel febbraio 2022, con l’invasione dell’Ucraina a opera di Putin. La democrazia liberale è sotto attacco, dal vassallo russo complice del presidente Xi Jinping. L’Europa, però, non può difendersi senza l’America, e l’America al momento sta vivendo una crisi esistenziale. L’America è una nazione divisa, lacerata da conflitti sociali profondi e dolorosi. E rimarrà così per diversi anni.
Il declino dell’impero americano sarà accelerato dalla mancanza di coesione sociale in America, da furiose guerre culturali interne e dall’ascesa di razzismo, antisemitismo e misoginia. La Corte Suprema assemblata da Trump non soltanto ha dato un’immunità parziale a un pregiudicato, ma ha reso l’accesso all’aborto un incubo nazionale.
Gli stessi alleati di Trump in tribunale sperano adesso di rendere illegale il matrimonio tra persone dello stesso sesso e addirittura di vietare o limitare il ricorso alla contraccezione. La visione di Trump è oscurantista, cupa e naturalmente supportata dal dark money di Elon Musk, un personaggio davvero inquietante che vomita propaganda del Cremlino ed è diventato il sostenitore finanziario numero uno di Trump. Malgrado la sua genialità nello sviluppo di automobili elettriche e razzi, Musk oggi è una specie di Goebbels digitale.
Ben poco del ragionamento fin qui riportato ha la possibilità di influenzare l’elettore maschio bianco della lower middle class americana senza laurea che voterà per Trump in luoghi come Georgia, North Carolina o Arizona. Quell’elettore potrebbe essere molto più influenzato dalla paura ancestrale delle orde di immigrati che arrivano a sottrargli il posto di lavoro. Quell’elettore potrebbe temere che gli Stati Uniti stiano diventando una nazione nella quale il 51 per cento della popolazione non è più caucasica.
Questa è ormai una certezza statistica, che spaventa gli uomini bianchi meno istruiti e alcune donne bianche che nel 2016 votarono per Trump soprattutto perché non potevano sopportare l’idea che un afroamericano avesse vissuto alla Casa Bianca per otto anni.
L’idea che la figlia di immigrati giamaicani e haitiani possa adesso andare a vivere alla Casa Bianca fa infuriare molti di questi americani. Si tratta di coloro che formano parte della base di Trump, appartengono a una porzione della popolazione con tendenze razziste che è molto più ampia di quello che si potrebbe immaginare. Questi elettori non vedono la sfida alla democrazia americana. Se Trump dice loro che Putin gli piace, sosterranno Putin. Se Trump suggerisce, come ha fatto, di volere che un plotone di esecuzione spari all’ex deputata del Congresso Liz Cheney, i seguaci della sua “setta” applaudono ed esaltano il loro leader come hanno fatto l’altro giorno.
In questa America è difficile sapere se un maggior numero di sostenitori progressisti di Harris martedì si alzerà e uscirà di casa per andare al seggio ed eleggere lei o no. La questione del diritto all’aborto dovrebbe contare molto, ma dalla maggior parte degli elettori è considerata meno importante rispetto alle preoccupazioni per l’economia.
Per vincere, Kamala Harris avrà bisogno del sostegno della maggioranza delle elettrici americane. Presto scopriremo se le donne americane sono abbastanza arrabbiate per l’oscurantismo antiabortista e il volgare maschilismo di Trump da andare al seggio il 5 novembre ed eleggere Kamala Harris. Se Harris vincerà, ed è ancora possibile, ciò accadrà quasi sicuramente grazie alle donne americane.
Oggi, dunque, è l’Election Day. Un giorno che spaventa qualcuno, anche se va ricordato la democrazia richiede il rispetto della volontà dell’elettorato. La questione, dopodomani, sarà se Trump rispetterà la volontà dell’elettorato.
Molti americani (anti-Trump) sono preoccupati e stanno vivendo questa giornata in uno stato d’animo leggermente ottenebrato, sperando forse per il meglio e temendo il peggio. Dovremmo scoprire presto il nostro destino, nel vero esercizio della democrazia americana, a meno che qualcosa non vada storto, a meno che il voto non sia messo in discussione da Trump in alcuni stati e i sostenitori non chiedano il riconteggio delle schede e i risultati siano lenti ad arrivare e Trump decida di istigare di nuovo alla violenza. Se niente di tutto questo accadrà, sarà un miracolo.
Traduzione di Anna Bissanti