L'ICONOCLASTA

Il fallimento di Mosca contro Kiev allontana l’attacco di Xi a Taiwan

Il documento molto duro del G7 apre una fase nuova nei rapporti fra Occidente e Cina. Biden inasprirà la retorica in vista delle elezioni, il leader cinese spinto alla prudenza

Il mio editoriale su La Stampa

Mentre tutte le telecamere erano puntate sull’apparizione del leader carismatico ucraino, Volodymyr Zelensky, al summit del G7 ad Hiroshima, il vero significato storico dell’incontro era contenuto nel pesante messaggio inviato alla Cina. Benché camuffato nel linguaggio diplomatico di un comunicato istituzionale in stile G7, il messaggio era estremamente duro. Il G7 ha infatti criticato la Cina su tutti i fronti: dalla militarizzazione del Mar Cinese Meridionale, al suo utilizzo della «coercizione economica» contro l’Australia e altri paesi. I grandi del Pianeta hanno anche esortato Pechino a mettere pressione sulla Russia affinché ritiri le sue truppe dall’Ucraina, e hanno avvertito la Cina di non toccare Taiwan.

Il G7 ha dichiarato di essere “seriamente preoccupato” per gli sviluppi nel Mar Cinese Orientale e Meridionale, e di “opporsi fermamente a qualsiasi tentativo unilaterale di cambiare lo status quo con la forza o la coercizione”. Gli alleati europei, il Canada e il Giappone si sono anche schierati con il presidente Joe Biden che punta a bloccare l’esportazione in Cina di tecnologie avanzate come i semiconduttori (di ultima generazione per l’intelligenza artificiale e il supercalcolo)

Trattandosi della condanna più forte mai espressa dai leader del G7 nei confronti della Cina, questa è stata immediatamente percepita a Pechino come una significativa escalation della retorica dell’ostilità. La reazione è stata pronta e furiosa, con il Ministero degli Esteri cinese che ha dichiarato che il G7 ha usato il summit per «diffamare e attaccare la Cina e interferire spudoratamente negli affari interni del Paese». Pechino ha anche negato le accuse di coercizione economica, sostenendo invece che le sanzioni unilaterali di Washington contro la Cina, con gli atti di decoupling (il disaccoppiamento tra le maggiori economie del mondo) e di interruzione delle catene industriali e di approvvigionamento, rendono gli Stati Uniti «il vero coercitore che politicizza e arma le relazioni economiche e commerciali».

Biden ha poi riunito i membri del Gruppo Quad (Dialogo quadrilaterale di Sicurezza) che comprende Australia, Giappone, India, Stati Uniti per sferrare un altro attacco “sottilmente” velato alla Cina. Dopo una breve sessione (47 minuti di vertice), il Quad ha dichiarato di opporsi “fermamente ad azioni destabilizzanti o unilaterali che cercano di cambiare lo status quo con la forza o la coercizione”. Anche in questo caso, un linguaggio diplomatico che si riferisce alle tattiche economiche utilizzate della Cina per trarre vantaggi dai paesi più poveri, piuttosto che alla sua espansione militare nel Pacifico. In termini diplomatici, é l’equivalente di un pugno nello stomaco.

Domenica sera Joe Biden ha cercato di essere un po’ più positivo, dichiarando ad Hiroshima, nella sua conferenza stampa di chiusura, che le relazioni tra Washington e Pechino si sarebbero presto “scongelate”, dopo il “deterioramento” causato dall’abbattimento del pallone spia cinese da parte degli Stati Uniti a febbraio.

Ma Biden è stato fermo sulla minaccia percepita dalla Cina, e ha ribadito l’impegno del G7 di fermare la vendita di microchip avanzati a Pechino. «La Cina sta costruendo il suo esercito, ed è per questo che ho chiarito che non sono disposto a commerciare determinati articoli con la Cina», ha detto. «Non vogliamo “disaccoppiare” dalla Cina, ma “de-rischiare” (ridurre il rischio) e diversificare», ha affermato. «Dobbiamo diversificare le nostre catene di approvvigionamento in modo da non dipendere da un solo Paese. Dobbiamo proteggere un numero ristretto di tecnologie avanzate».

Poco importa se dopo dieci anni di “re-shoring”, ovvero di ritorno della produzione dei semiconduttori nei paesi d’origine per diminuire i rischi di dipendenza, l’Occidente dipenderà comunque dalla Cina per circa l’80 percento del suo fabbisogno. La retorica oggi è questa: fare il muso duro con la Cina, la potenza rivale in ascesa, il competitore (per eccellenza). E ora tutti i membri del G7, l’Italia compresa, dovrebbero ricalibrare il proprio rapporto con la Cina, in linea con questo profilo più aggressivo del G7.

Il problema, come ha sottolineato Henry Kissinger in un’intervista pubblicata ne “The Economist”, è che la retorica alimenta ciò che potrebbe diventare una profezia che si autoavvera. Kissinger non ha usato proprio queste parole, tuttavia ha descritto quella che è, oggi, la sua più grande paura ovvero la natura auto-rinforzante delle percezioni e delle politiche a Pechino e a Washington.

«Entrambe le parti» ha detto all’Economist, «sono reciprocamente convinte che l’altra rappresenti un pericolo strategico. Siamo sulla strada del confronto tra grandi potenze».

Questo è, ovviamente, il vero rischio, speriamo per il futuro lontano, ma se volete spaventarvi ancora di più, potete aggiungere alla lista delle preoccupazioni che affliggono il mondo le capacità militarizzate e strumentalizzate dell’intelligenza artificiale, che attualmente vengono sviluppate sia dalla Cina che dagli Stati Uniti.

In realtà, sono d’accordo con Hillary Clinton, che sabato ha dichiarato di credere che il presidente Xi stia rivalutando il suo approccio a Taiwan alla luce del fallimento della campagna di Putin per prendere rapidamente il controllo dell’Ucraina. Precedentemente aveva affermato di ritenere che Xi «avrebbe agito contro Taiwan» tre o quattro anni dopo aver effettivamente consolidato il suo potere in Cina. Ma ora ha aggiunto: «Penso che la vicenda Ucraina abbia davvero posticipato questo scenario ».

In America intanto, man mano che la campagna elettorale presidenziale inizierà a farsi intensa, Joe Biden, in quanto candidato, sarà sottoposto a pressioni ancora più forti per mantenere una posizione aggressiva nei confronti della Cina. Almeno fino a novembre 2024. Quindi, è lecito aspettarsi ulteriore retorica. Da entrambe le parti.

Molto dipenderà dal Presidente Xi Jinping, un dittatore brutale che è anche un attore politico razionale. L’escalation retorica di Washington, e ora del G7, porterà a una risposta da parte di Pechino. Tuttavia, se Xi crede nella logica confuciana, sarà fermo nelle sue posizioni ma paziente nei confronti di Taiwan. Xi ragionerà in termini di medio e lungo periodo, come un leader cinese è solito fare. E giocherà la partita lunga con l’America.

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