L'ICONOCLASTA

Il mondo in subbuglio e la certezza dell’incertezza

Il mio articolo per la rivista “Il settimanale”, diretta da Claudio Brachino.

Pandemia e guerra hanno rivoluzionato lo scacchiere geopolitico mondiale. Nato e Ue si sono rafforzate, Putin arranca e l’Asia spadroneggerà sul commercio

Siamo a un punto di svolta nella storia. Un momento di cambio di paradigma.

Guardando al 2023, ci sono numerosi motivi di preoccupazione per lo stato dell’economia globale e per le sfide che attendono la democrazia liberale Occidentale.

L’impatto del Covid e dell’invasione dell’Ucraina avrà conseguenze di vasta portata per il mondo. In termini geopolitici, il signor Putin ha dichiarato guerra non solo all’Ucraina, ma anche ai tradizionali valori europei e occidentali. La narrazione del presidente russo è progettata per indebolire la Nato e dividere l’Occidente. Ma Putin sta perdendo la guerra e ha subito un effetto boomerang: la sua disastrosa aggressione ha in realtà rafforzato la Nato, ha rafforzato l’alleanza transatlantica e ha riavvicinato un’Europa frammentata, anche se ancora lontana dall’essere unita.

Le probabili prospettive a breve termine per la guerra sono che essa continui sfilacciata nel tempo, proseguendo nel migliore dei casi in modo sporadico e a bassa intensità, un conflitto semi-congelato che sarà difficile da portare a termine. L’Ucraina potrebbe eventualmente decidere di non provare a riconquistare la Crimea, ma perché la guerra finisca Putin deve ritirare le sue truppe dal territorio ucraino, il che significherebbe rinunciare alle zone annesse illegalmente. Per lui non c’è quasi alcun modo di evitare di perdere la faccia, e questo è il problema più grosso. Non esiste una soluzione ovvia.

La Cina non vuole la guerra, soprattutto perché questa ha causato un grosso problema all’economia mondiale. Per il Presidente Xi Jinping, che già sta affrontando in patria le sfide alla propria autorità dopo i lunghi lockdown e anche un’economia indebolita, la guerra significa minori esportazioni cinesi e una crescita del Pil più lenta. Nonostante la retorica e la propaganda russa, la Cina non è il miglior partner di Mosca, piuttosto un vicino opportunista e, soprattutto, una superpotenza molto più importante che ha bisogno di vendere i suoi prodotti manifatturieri e non può permettersi che la guerra in Ucraina provochi un collasso economico. Lo stesso vale per l’India, che acquisterà energia russa a prezzi scontati, ma la cui politica estera rimarrà ambigua.

La Turchia di Erdogan è un’opportunista e un’affarista e sembra felice di alternare i ruoli di alleata della Nato, di ricattatrice dell’Europa quando si tratta di rifugiati di guerra e di migranti, oppure di partner commerciale di Putin quando le fa comodo. Erdogan è anche impegnato a ritagliarsi sfere di influenza in Libia con mercenari russi, e questo chiaramente non è nell’interesse dell’Europa.

La disponibilità dell’Arabia Saudita a unire le forze con Putin per mantenere alto il prezzo del petrolio è solo l’ultima dimostrazione delle ambigue e mutevoli alleanze di Riyadh. Il nemico dell’Arabia Saudita, l’Iran, nel frattempo è felice di fornire droni a Putin. Intanto, le apparenti rivolte popolari alle quali abbiamo assistito in Iran dimostrano che il Medioriente rimarrà instabile finché gli Ayatollah continueranno a governare a Teheran.

Per Joe Biden il mondo sembra diviso in democrazie e autocrazie, anche se, entrando in questa nuova fase della geopolitica, gli Stati Uniti dovranno scegliere tra dittatori inaccettabili e sanguinari come Putin e altri “cattivi”, dittatori e autocrati, soprattutto nel Golfo, che potrebbero essere sgradevoli ma rappresenterebbero il male minore. Ecco come e perché l’Occidente può permettersi di ignorare il governo autoritario del Qatar, le sue politiche anti-gay o il suo cattivo trattamento dei lavoratori migranti: abbiamo ancora bisogno del loro petrolio e del loro gas.

Il duplice trauma del Covid e della guerra in Ucraina, nel frattempo, avrà un profondo impatto geoeconomico: in termini di flussi commerciali, di processo di globalizzazione (o di de-globalizzazione), di approvvigionamento di combustibili fossili, di sviluppo di energie alternative e rinnovabili, di economia cinese e molto altro ancora. L’interruzione delle catene di approvvigionamento e l’impennata dei prezzi dell’energia e delle materie prime hanno provocato un rialzo improvviso dell’inflazione, che a sua volta ha scatenato la corsa delle banche centrali ad aumentare i tassi di interesse per far scendere l’inflazione.

Assisteremo ad un maggiore “reshoring” di settori critici come i semiconduttori e le batterie al litio, ma queste nuove capacità produttive richiederanno un decennio o più per modificare la dipendenza da Taiwan e dalla Cina. Assisteremo a cambiamenti nei modelli commerciali a causa del cambiamento delle alleanze. Assisteremo ad un aumento del commercio intra-asiatico, soprattutto tra Cina, India e il Sud-Est asiatico.

Tornando all’Europa, agli inizi del 2023 assisteremo ad una recessione in Germania e in Italia, e il dibattito tra gli economisti è capire se sarà lieve o breve, oppure forte e di lunga durata. Nemmeno gli economisti e le istituzioni più autorevoli possono fare previsioni macroeconomiche precise, data l’incertezza della guerra e delle sue ramificazioni geopolitiche.

Ecco perché ritengo che l’unica certezza in questo momento storico sia un profondo senso di incertezza. Altri shock geopolitici ed economici potrebbero essere all’orizzonte nel 2023. Il meglio che possiamo fare, per ora, è sperare che entro la seconda metà del prossimo anno il peggio sia passato.

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