Dobbiamo affrontare un fatto semplice e inquietante: l’attuale inquilino della Casa Bianca è psicologicamente allineato con il dittatore del Cremlino
Il mio articolo su La Stampa
L’adorazione di lunga data che Donald Trump nutre per Vladimir Putin sta oggi minando l’unità dell’Occidente. È diventata un problema serio. È giunto il momento che l’Europa smetta di camminare in punta di piedi intorno a questa realtà, per educazione o per paura delle reazioni di Trump.
Dobbiamo affrontare un fatto semplice e inquietante: l’attuale inquilino della Casa Bianca è psicologicamente allineato con il dittatore del Cremlino. Trump adora Putin. Quando parla con lui, sembra cadere in una sorta di trance quasi reverenziale; non si lascerà mai sfuggire una parola critica nei suoi confronti. Trump ha sempre mostrato una particolare predilezione per il despota russo. Nel 2013, gli chiese persino aiuto per ottenere il permesso di costruire una Trump Tower a Mosca. La sua famiglia si è vantata più volte di aver guadagnato milioni grazie a rapporti d’affari con la Russia. Alcuni membri appaiono vicini agli ambienti del potere putiniano. Gli investitori russi, così come gli acquirenti di appartamenti nella Trump Tower e in altre proprietà del gruppo, non sono mai mancati.
In molti sensi, a mio avviso, Trump percepisce Putin – psicologicamente – nello stesso modo del principe Mohammed bin Salman, degli emiri del Golfo o di certi oligarchi est-europei: come potenziali clienti per il suo albergo, per i suoi affari immobiliari, per le sue attività legate alle criptovalute, o per i futuri fondi d’investimento del genero. Con Trump, spesso, tutto si riduce al denaro. Ma con Putin c’è anche qualcosa di più: l’ammirazione profonda per la capacità del dittatore di comandare. Di controllare media, tribunali, parlamento, esercito, economia, tutto. Questo è il sogno proibito di Trump. Vorrebbe emulare la parata militare annuale di Mosca, con i carri armati per le strade di Washington. È questo suo desiderio perverso di imitare il modello russo che rappresenta, almeno a mio avviso, una minaccia gravissima alla democrazia americana. Ed è anche ciò che rende Donald Trump un utile idiota.
Lunedì scorso, il presidente americano ha definito «eccellente» la sua telefonata di due ore con Putin. Il leader russo, compiaciuto, ha poi recitato la solita messa in scena in stile Kgb, tra sofismi, tergiversazioni, bluff incrociati e ipotesi di pace tanto sofisticate quanto condizionate. Ancora una volta, il dittatore ha giocato con Trump come un gatto col topo. Le sue tattiche dilatorie gli stanno regalando ulteriore tempo per allargare l’invasione dell’Ucraina, conquistare più terreno, seminare distruzione e caos – in stile Gaza – nella speranza che Kyiv si arrenda. Speranza che – si auspica – resterà vana.
Ora, finalmente, l’Europa ha reagito con un pacchetto di sanzioni più incisive, colpendo la cosiddetta «flotta ombra» di petroliere che Putin usa per eludere i divieti. Un segnale di vita, finalmente. Ma non basta. Trump, dal canto suo, non ha mostrato alcuna urgenza nel proporre nuove sanzioni, nemmeno dopo che Putin ha respinto la sua richiesta di un cessate il fuoco preliminare a eventuali trattative. Anzi, Trump ha lasciato il mondo con il fiato sospeso, senza chiarire se intende abbandonare del tutto la questione ucraina. Ha affermato chiaramente che solo «Russia e Ucraina» possono risolvere le loro divergenze, perché solo loro comprenderebbero «i dettagli».
La domanda cruciale ora è questa: anche se Trump si sfilasse dal processo di pace, continuerà almeno a vendere armi all’Ucraina? Se la risposta fosse sì, allora l’Europa dovrà trovare i fondi per sostenere da sola le forniture militari di cui Kyiv ha bisogno. Il potenziale economico combinato di Germania, Regno Unito, Francia e Polonia potrebbe bastare a coprire una parte consistente – ma non la totalità – della difesa ucraina. Armi, non truppe. Ma a costi astronomici, e solo se altri Paesi donatori colmassero il vuoto lasciato dagli Stati Uniti. Quindi difficile. Ciò che conterà davvero saranno due fattori: il continuo accesso dell’Ucraina all’intelligence americana, e il via libera di Washington all’acquisto di armi made in Usa.
Oggi, a mio avviso, il vero obiettivo di Trump sembra essere quello di ricostruire e rafforzare i rapporti commerciali tra Stati Uniti e Russia. Fare affari con Putin. «La Russia vuole intrattenere relazioni commerciali su larga scala con gli Stati Uniti quando finirà questo bagno di sangue catastrofico, e io sono d’accordo», ha dichiarato Trump dopo la telefonata. La fine della guerra in Ucraina appare quasi come una seccatura, un inciampo sul cammino che Trump immagina verso una rinnovata partnership commerciale con Mosca. Dazi per gli amici europei e «relazioni commerciali su larga scala» per Putin. Ecco, questo è il presidente americano con cui oggi l’Unione europea si trova a fare i conti. Ed è proprio per questo che l’Europa ha un disperato bisogno di compattezza. Ora più che mai. O almeno, chi c’è, c’è – e chi non c’è, è fuori. Il presidente americano non è un alleato affidabile. Bisogna difendersi da soli.