L'ICONOCLASTA

IL REBRANDING DELLA CINA: Alfiere globale della pace e bastione contro l’egemonia americana?

Bisogna ammetterlo. Il presidente Xi Jinping sta conducendo una campagna internazionale di «rebranding» piuttosto scaltra e sofisticata. Con ogni probabilità, se dovesse guidare un’agenzia pubblicitaria la porterebbe al successo.

Il mio editoriale pubblicato su La Stampa

Due settimane fa la Cina ha fatto da intermediaria nelle discussioni che hanno permesso di ripristinare rapporti amichevoli tra Iran e Arabia Saudita. Pechino si è così potuta presentare sul palcoscenico globale come una paladina della pace, un gigante buono. Certo, i suoi interessi strategici vanno proprio nella direzione di garantire la stabilità nella regione e assicurarsi l’accesso al petrolio di Iran e Arabia Saudita, ma il punto è un altro. Il punto è il ritorno d’immagine. Le foto.

Questa settimana poi il presidente Xi si è presentato a Mosca nelle vesti di paciere globale, con un piano di 12 punti che teoricamente avrebbe dovuto mettere fine alla guerra in Ucraina. Certo, in realtà non si poteva nemmeno definire un piano, quanto piuttosto un mero elenco di luoghi comuni, ma non è questo il punto. Il punto è un messaggio più semplice, fatto di simboli. E di foto, ancora una volta.

Dal punto di vista cinese i risultati sono stati eccellenti: gli scatti e i video dell’incontro di Pechino tra Iran e Arabia Saudita sono diventati virali il 10 marzo. L’accordo è stato ampiamente lodato. La Cina aveva portato la pace. L’impressione è che molte persone in Europa e negli Usa siano rimaste sorprese: da più parti l’accordo è stato interpretato come un simbolo del declino dell’influenza a stelle e strisce nelle questioni internazionali, e forse un segno premonitore del futuro che ci attende.

La stessa cosa si può dire della sfarzosa visita del presidente Xi a Mosca, dove ha proposto il suo Paese come una potenza «imparziale». Una sorta di gigante gentile, appunto. Nel contempo sia Xi sia il «caro amico» Vladimir hanno fatto capire con chiarezza che sono interessati a cambiare il paradigma del potere globale e a proporre delle loro (autocratiche) alternative alla democrazia liberale occidentale. Sono riusciti però a veicolare in modo molto sofisticato ed efficace il loro messaggio.

Sì, ma a chi era rivolto? Gli sforzi di Putin erano mirati a fare bella figura a casa, mentre si può dire che al pubblico americano ed europeo la Russia è apparsa un po’ come la sorella minore della Cina. In fin dei conti, la Russia è il junior partner della principale rivale dell’America.

Per quanto riguarda la Cina stessa, invece, il target di riferimento della sua campagna promozionale è più ampio: sono i sette miliardi di persone che non vivono né in Europa né in America del Nord, ma in posti come l’India, il Sudest Asiatico, il Medioriente, l’Africa e l’America Latina. La diplomazia cinese è attualmente impostata su una campagna di comunicazione strategica a livello globale decisamente scaltra, che punta a vincere “i cuori e le menti” di sette miliardi di persone.

Quello che conta davvero agli occhi della Cina è che gran parte del mondo la percepisca come la nuova superpotenza emergente, un leader intorno a cui radunarsi per lanciare la sfida all’egemonia Usa. Se gli americani vogliono il muro contro muro, la Cina punterà a portare dalla sua parte il resto del globo.

E Joe Biden? Il presidente americano è inchiodato agli alti dazi che Trump ha messo sulle importazioni dalla Cina. Ha anche dato un giro di vite alle esportazioni tecnologiche verso il Paese del dragone. Insomma, le guerre commerciali continuano. L’amministrazione Biden ha mostrato un atteggiamento molto conflittuale con la Cina: basta pensare ai frequenti ammonimenti pubblici circa le sorti di Taiwan, o a quando ha abbattuto il pallone cinese. Sulle tecnologie chiave è stato imposto il divieto di esportazione verso la Cina. TikTok sta per essere bannato. Biden ha diviso il mondo in due: le democrazie da una parte, le autocrazie dall’altra. Un messaggio che funziona bene in America del Nord e in gran parte dell’Europa. Ma non ovunque.

Forse i cinesi sono semplicemente dei maestri di diplomazia machiavellica, più bravi degli americani. O forse sanno comunicare in modo più furbo. Magari sono solo fortunati, chissà. Ma sembra proprio che il presidente Xi sia al centro di un significativo cambiamento degli equilibri di potere a livello planetario. Un periodo di riallineamenti e sconvolgimenti, un processo che potrebbe impiegare decenni per esplicitarsi ma che ha tuttavia l’aura dell’ineluttabilità.

Nel frattempo, nell’infuriare delle guerre di propaganda globali, il presidente Xi conduce un’eccellente campagna di marketing per «valorizzare il marchio». Il messaggio che lancia al resto del mondo è avvincente. Per adesso, il conflitto vede Biden perdente. Il primo round va a Xi.

ULTIMI ARTICOLI