L'ICONOCLASTA

Il rischio di sprecare la grande occasione

Ha ragione Draghi. Le riforme vanno approvate, e non soltanto quella sulla concorrenza.

Il mio editoriale pubblicato su La Stampa

L’ex Presidente della Bce, ricordiamolo, è stato scelto come primo ministro proprio per delineare, lanciare, far approvare, attivare e “mettere a terra” il Pnrr, gettando le basi di un piano di cinque anni di investimenti fondamentali per la modernizzazione dell’economia, grazie alla disponibilità dei 220 miliardi del NextGenerationEU. Insieme ai fondi però ci sono delle condizioni da soddisfare.

Tra queste, più di 500 misure che devono essere implementate nell’arco di cinque anni, oltre a una serie di riforme strutturali come quelle sulla concorrenza, sulla giustizia, sulla semplificazione della pubblica amministrazione e via dicendo. Se le riforme non vanno avanti o se vengono troppo annacquate dalle lotte intestine della politica, l’Italia rischia di non rispettare le deadline semestrali. In tal caso la Commissione Europea potrebbe non erogare i fondi per i progetti finanziati dal Pnrr. È il cuore del monito che Draghi ha lanciato giovedì al suo Consiglio dei Ministri. «Il mancato rispetto della tempistica delle riforme», ha spiegato, «metterebbe a rischio, insostenibilmente, il raggiungimento di un obiettivo fondamentale del Pnrr, punto principale del programma di Governo».

Draghi, che ormai appare come uno statista europeo sul fronte estero e talvolta un premier esasperato su quello interno, sta dicendo la pura e semplice verità. Tutti sanno che se le fibrillazioni pre-elettorali a cui stiamo assistendo al momento dovessero sfuggire di mano il cammino delle riforme potrebbe complicarsi. Il governo potrebbe anche tirare avanti fino all’inizio del 2023, ma è probabile che in tal caso le riforme saranno sempre più depotenziate; ogni misura finirà nel mirino dei demagoghi populisti che cercano di ritagliarsi più spazio in vista delle elezioni. Agli occhi di un osservatore straniero come il sottoscritto, l’impressione è che i più irresponsabili tra i leader di partito stiano cercando di sfruttare il tema delle concessioni balneari e le altre riforme come quelle del fisco e della giustizia per mettersi in luce e guadagnarsi qualche voto in più nelle urne. Un po’ come quei politici populisti che da qualche tempo attaccano Draghi sulla guerra in Ucraina e cercano di salire sul carro dei pacifisti in merito all’invio di armi. Tra questi politici c’è chi corre a piantare la propria bandierina su quel campo di battaglia che è il corpus delle riforme correlate al Pnrr. È un gioco pericoloso. I 220 miliardi del Pnrr sono fondamentali per l’Italia e per la sua economia, come ho scritto in maniera piuttosto enfatica nel mio nuovo libro Il prezzo del futuro. In un’epoca di profonda incertezza economica, con le previsioni del tasso di crescita del Pil del 2022 ormai dimezzate per colpa della guerra, con la fiducia degli investitori che collassa, i soldi che vengono investiti in virtù del Pnrr rappresenteranno un’utilissima iniezione di liquidità. Nel breve termine potrebbero contribuire a controbilanciare la riduzione del tasso di crescita, smorzando e assorbendo in parte lo shock per la macroeconomia. Se le riforme di Draghi rispetteranno la tabella di marcia l’Italia potrà ricevere 40 miliardi quest’anno, che corrispondono al due percento del Pil: un assist robusto per un’economia che sta rallentando.

La parte del Pnrr incentrata sulla transizione ecologica sforerà inevitabilmente alcune scadenze previste per la decarbonizzazione, e la transizione energetica dovrà essere affiancata da un sostanziale afflusso di nuovi fondi provenienti dal nuovo programma RePowerEU. Parallelamente, il piano Cingolani per raggiungere la piena autonomia dal gas russo prima della fine del 2023 ha un potenziale dirompente per l’Italia, in senso positivo. Può cambiare davvero le regole del gioco. Ma questo al di fuori del Pnrr. Persino i piani progettati con più cura però possono fallire, se non si riesce ad accedere ai soldi del Pnrr e a investirli, e se le riforme non vengono approvate e attivate. E i fondi non verranno erogati se l’Italia non approverà secondo le tempistiche le riforme chiave che sono state già concordate tra Bruxelles e Roma.

Perché l’Italia rischia di sprecare l’occasione del secolo? Ho posto questa domanda a molti opinion leaders italiani. La maggior parte di loro ha individuato il rischio più grave nella fibrillazione preelettorale che potrebbe indebolire il governo Draghi entro l’autunno del 2022, erodendo le capacità del premier di portare a termine le riforme necessarie nei tempi previsti. Anche se annacquate, le riforme sono importanti. Quasi tutti mi hanno detto poi che il secondo rischio più grave è che le tempistiche del Pnrr non vengano rispettate a causa della burocrazia e dell’incapacità di spesa nei territori. E poi, ovviamente, gli opinion leaders temono anche la mancanza di continuità dopo che Draghi avrà lascito Palazzo Chigi nel 2023. Non c’è da temere solo l’instabilità prima, durante e dopo le elezioni politiche del 2023: la paura più grande è che il prossimo governo non avrà le stesse doti di quello attuale in termini di serietà, competenza e impegno quando si troverà a gestire il Pnrr e perseguire le riforme necessarie.

Per adesso però Draghi è ancora a Palazzo Chigi, e io mi aspetto che la strigliata che ha rifilato ai suoi ministri giovedì sera non sia un episodio isolato. Purtroppo siamo forse condannati a vivere quest’anno in una sorta di eterno Giorno della Marmotta, in cui i politici continuano a strillare i loro slogan demagogici, e allora Draghi li convoca, gli fa una bella lavata di capo, e a quel punto o si mettono in riga o si mette la fiducia. E poi ricomincia tutto da capo. Certo, finché le riforme verranno fatte nei tempi, i soldi del Pnrr continueranno ad arrivare. Whatever it takes

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