Quello che abbiamo vissuto da gennaio 2017 ad oggi non è l’America della nostra coscienza collettiva, non è l’America di Kennedy, o Reagan, o Bush, o Obama. Il mio editoriale, pubblicato stamattina su La Stampa.
23 ottobre 2020 – Immagina che non ci sia più nessun Trump alla Casa Bianca: è facile se ci provi. Nessuno inferno sotto di noi. Sopra di noi solo il cielo. Immagina che la gente americana viva la sua vita in pace.
Mi scuso con John Lennon, ma sospetto che approverebbe la mia lieve alterazione del testo del suo brano più famoso (“Imagine”), mentre cerco di immaginare l’America della mia gioventù, anzi l’America fino a qualche anno fa. Naturalmente quando mi permetto di fantasticare di un’America più pacifica, più normale, più unita, meno violenta, meno razzista, meno autoritaria, sto immaginando un’America post-Trump, e quindi un’America dopo il 20 gennaio 2021, a patto che vincerà Biden, e a patto che Trump accetti il verdetto del popolo. Mancano poco più di due settimane al voto del 3 novembre, e sembra possibile che tanti dei miei connazionali capiranno finalmente i grossi rischi che stiamo correndo come nazione, non tutti i miei connazionali naturalmente ma almeno quella maggioranza che sa leggere e che crede ancora nelle istituzioni della democrazia. I sondaggi erano sbagliati quattro anni fa, ma nel 2020 forse sarà convalidato il famoso proverbio attribuito a Abramo Lincoln: «Si può ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non si può ingannare tutti per sempre».
Che cosa si potrebbe immaginare, o sognare, per dopo il voto per la Casa Bianca? Proviamo a mettere giù un piccolo elenco. Si potrebbe immaginare un’America che ritorna alle tradizioni della democrazia liberale, un Paese in cui il presidente mostra il suo rispetto per lo Stato di diritto, un presidente che non insulta i soldati dell’esercito, chiamandoli «dei perdenti e ventosi» e un’America in cui non esiste nessun dubbio che il presidente sia leale e patriottico e non c’è nessun sospetto che possa essere più fedele ai dittatori come Putin. Io vorrei immaginare un America che tornerà ad essere amica e alleata della Nato, dell’Europa, un’America che farà parte del sistema multilaterale delle regole sul commercio, un’America che rientrerà nell’accordo di Parigi per combattere il cambiamento climatico, un’America che torna a difendere i diritti civili a casa e i diritti umani in tutto il mondo. Che bello sarebbe avere un presidente degli Stati Uniti che parla di pace e della democrazia, che non predica la rabbia e l’odio.
Sarebbe bello avere un presidente che non mentisse ogni giorno sul Covid, che non consigliasse al suo popolo di ingerire dei disinfettanti come terapia, che non promettesse un vaccino miracoloso in tempi di record, che non togliesse la sua mascherina appena dimesso dall’ospedale e che non si mettesse in posa mussoliniana sul balcone della Casa Bianca.
Potrebbe essere difficile da credere per qualcuno, ma c’era una volta un’America in cui i presidenti non cercavano di lusingare i razzisti e suprematisti bianchi e che denunciavano quelli che predicano la violenza. E ci sarà quest’America anche in futuro, credo, spero.
Quello che abbiamo vissuto da gennaio 2017 ad oggi non è l’America della nostra coscienza collettiva, non è l’America di Kennedy o Reagan o Bush o Obama. L’America di Trump non è stata l’America in cui la nostra forza viene dalla nostra unione, l’America in cui la nostra l’unità viene rafforzata dalla nostra diversità culturale. Non so come andranno le prossime settimane e mesi, ma spero in un ritorno alla normalità, a un’America che ritrovi la sua coscienza. Joe Biden dice che questa campagna è «una battaglia per l’anima della nazione». Ha ragione. E ora, se posso concludere questo piccolo sogno come ho cominciato, citando le parole di John Lennon: «Puoi dire che sono un sognatore ma non sono l’unico. Spero che ti unirai anche tu un giorno e che il mondo viva come uno». Sarò naïf? Probabile. Ma si può sempre sognare.