L'ICONOCLASTA

La banda del buco: tutto ricadrà sulle spalle degli italiani

Il bestseller del 2018 «Dieci cose da sapere sull’economia» (Newton Compton) si arricchisce di due nuovi capitoli, e diventa «Dieci + 2 cose da sapere sull’economia italiana». In questa nuova edizione, ho voluto raccontare la storia di questi ultimi mesi concitati attraverso gli occhi di una famiglia ordinaria, la famiglia Giorgetti. Inoltre, ho voluto offrire un giudizio sull’operato del governo gialloverde, con un’attenzione particolare all’economia. L’Huffington Post ha pubblicato un estratto dal capitolo 11. Buona lettura!

22 novembre 2018 – In che direzione va l’Italia dopo la bocciatura dell’Europa? Quali rischi si troverebbe ad affrontare

il Belpaese se lo spread restasse a quota 300-350 per diversi mesi? Quanto ci costerebbe? E quali potrebbero essere le ripercussioni sull’economia reale, sul sistema bancario, sulle piccole imprese e sulla stessa crescita se il governo andasse fino in fondo e realizzasse le misure economiche contenute in una manovra che non sta in piedi, le cui stime di crescita, su cui poggia l’intera struttura, sono fatte di sabbia? E che cosa potrebbe accadere se i mercati, ben più potenti dell’Europa, si convincessero che l’Italia sta commettendo una serie di errori che potrebbero rivelarsi un autentico autogol economico?

Come siamo arrivati fin qui?

Andiamo con ordine. I due partiti, che il primo giugno hanno giurato al Quirinale, hanno precedentemente concordato una serie di iniziative politiche sancite dal cosiddetto “contratto” di governo, il quale contiene molte delle misure promesse durante la campagna elettorale: la flat tax, la cancellazione della legge Fornero e il reddito di cittadinanza da 780 euro per circa 6 milioni di italiani. Vi si trovano anche tracce di un condono fiscale, insieme a diversi altri interventi economici che offrono risposte apparentemente semplici a problemi quanto mai complessi.

Il problema è che la “manovra del popolo” è in buona parte priva di coperture, e per finanziarla occorre prendere soldi in prestito dai mercati, quei maledetti mercati tanto vituperati dai due azionisti di maggioranza del governo. Tradotto in termini di finanza pubblica, l’Italia è in procinto di contrarre nuovi debiti che la renderanno ancora più fragile e in balia degli umori dei mercati, e nell’immediato si troverà a dover pagare miliardi di interessi in più.

Alla fine, tutto ricadrà sulle spalle degli italiani.

Tuttavia, non è certo possibile ottenere tutto il denaro che servirebbe a finanziare interamente le stravaganti promesse fatte in campagna elettorale.

Salvini e Di Maio si trovano quindi obbligati a diluirle nel tempo, e spalmarle su diversi anni: se le realizzassero tutte insieme, in un colpo solo, i conti pubblici salterebbero seduta stante. Quindi, e per fortuna, niente flat tax al 15 per cento per tutti i cittadini e le imprese, che dovranno accontentarsi di un misero anticipo. Tenere fede a quell’impegno, come confermato, del resto, dallo stesso Armando Siri, il leghista conosciuto come il “padre della flat tax”, comporterebbe una riduzione del gettito fiscale pari a 40 miliardi di euro l’anno. Un buco gigantesco nei conti pubblici. Impossibile. Così, nella legge di bilancio è prevista una spesa di circa 2 miliardi nel 2020 per finanziare non la flat tax, bensì l’allargamento del regime forfettario al 15 per cento per le partite IVA che fatturano fino a 65 mila euro all’anno e un’imposta sostitutiva del 20 per cento per chi ne fattura tra 65 e 100 mila. È una misura che porterà benefici a qualcuno, certamente, e va bene, ma nel quadro globale dell’economia italiana questa avrà un impatto modesto, quasi ininfluente.

E il tanto sbandierato superamento della legge Fornero attraverso il meccanismo di quota 100, almeno stando al Documento programmatico inviato e bocciato da Bruxelles, trova sufficiente copertura finanziaria soltanto per il 2019. Che succederà dopo? Si tratta solo di un errore da correggere? O piuttosto di un inganno elettorale che punta a far crescere il consenso tra la fine del 2018 e il maggio del 2019? Se il governo, come sostiene a gran voce, è intenzionato a rendere la misura permanente e strutturale dovrà stanziare più dei circa 7 miliardi l’anno previsti, o rimodulare in qualche modo i requisiti che permettono l’accesso al pensionamento anticipato.

La quota 100 costa somme ingenti e crea nuovi debiti, ma non nuovi posti di lavoro. La flat tax non è una vera e propria flat tax, ed è comunque rivolta a una platea ristretta di italiani. Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, molti temono che sarà un disincentivo al lavoro, e anzi aiuterà chi ha già un’occupazione retribuita in nero. Tutte spese pubbliche che non stimolano la crescita e non aumentano l’occupazione.

Insomma, le misure principali della manovra finanziaria non stimolano la crescita e non creano una quantità di posti di lavoro in grado di fare la differenza. L’impatto sul PIL sarà verosimilmente marginale. Il superamento della legge Fornero, lo ripeterò fino allo sfinimento, non genera nuovo lavoro. Aumenta solo il deficit e, come ha rilevato Tito Boeri, potrebbe comportare ben 100 miliardi di nuovo debito. Spendere altro denaro pubblico, almeno 7 miliardi all’anno, per mandare le persone in pensione prima del dovuto non stimola la crescita, e non è affatto vero che quei posti saranno automaticamente occupati da giovani che entrano per la prima volta nel mercato del lavoro. Il mondo reale, qui sul pianeta Terra, non funziona in questo modo.

No, se il governo volesse davvero usare l’arma del debito per stimolare la crescita e il lavoro dovrebbe seguire una ricetta molto differente. I 22 miliardi di spesa in deficit potrebbero essere spesi in maniera più produttiva assegnando una quindicina di miliardi agli investimenti pubblici e i rimanenti 7 a sgravi fiscali per le piccole imprese e per la detassazione dei contributi a chi dà lavoro a giovani, donne e over 50. Questo incoraggerebbe gli imprenditori ad assumere. Che piaccia o meno, questo aspetto del Jobs Act ha funzionato sul serio e ha aiutato le aziende a creare lavoro. Chi sostiene che “così regaliamo soldi alle imprese” sbaglia, perché sono proprio le imprese a creare occupazione.

Se, invece, lo scopo dei leader politici del governo gialloverde non è quello di creare rapidamente tanti nuovi posti di lavoro ma di dare in pasto alla loro base una finanziaria piena di contentini in vista del voto di maggio, allora è un altro film.

La domanda è inevitabile: gli architetti di queste misure economiche sono dei politici furbi e cinici che hanno interesse a distribuire caramelle al proprio elettorato ma sanno bene che non avranno grandi risultati, o non ci arrivano proprio?

Un conto è avere opinioni discordanti riguardo alla direzione strategica da prendere in materia di politica economica, un altro è cercare di infrangere le leggi della fisica, e rifiutarsi di applicare le semplici regole dell’aritmetica… Questo significa andare volutamente a schiantarsi contro un muro.

Ci vuole competenza.

Tratto dal nuovo libro di Alan Friedman «Dieci + 2 cose da sapere sull’economia italiana» (Newton Compton Editore) in libreria dal 22 novembre 2018.

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