L'ICONOCLASTA

L’anno che sta arrivando nell’economia mondiale

L’economia mondiale nel 2016: prospettive e rischi. Il mio editoriale pubblicato giovedì dal Corriere della Sera.

2 gennaio 2016 – Fare una previsione per l’economia mondiale nel 2016 non è facile perché il quadro è particolarmente complesso, pieno di incertezze e variabili, sia economiche sia geopolitiche.

Tra i fattori che possono incidere sulla crescita, i più importanti sono innanzitutto quanto rallenterà l’economia cinese, quanto potrebbe crollare ancora il prezzo del petrolio, quando e di quanto la Federal Reserve alzerà i tassi d’interesse americani, e se e di quanto la Banca centrale europea deciderà di espandere il quantitative easing e tagliare ancora il tasso di interesse nella zona euro.

In parole povere,diciamo che il nuovo anno sarà probabilmente molto simile al 2015, ma con nuovi rischi al ribasso, ovvero, come ha detto qualche mese fa Christine Lagarde, capo del Fondo Monetario Internazionale: «La mediocrità potrebbe diventare la nuova normalità».

Tra i rischi geopolitici ancora non chiari ci sono gli effetti della guerra contro l’Isis e le nuove mosse di Vladimir Putin, la situazione in Siria e nell’Ucraina, l’effetto dei profughi e migranti sull’Europa, e, verso la fine del 2016, l’effetto della probabile elezione di Hillary Clinton alla Casa Bianca.

In termini economici l’elemento più importante per il resto del mondo sarà il rallentamento della crescita della Cina, che dal tasso di poco meno del 7 per cento quest’anno potrebbe arrivare a circa 6,5 per cento nel 2016. Sembra molto, ma non lo è per la Cina, e sicuramente avrà un impatto negativo su quanti sperano di vendere le loro merci alla Cina.

Poi c’è il prezzo del petrolio, che è crollato da oltre 100 dollari a poco più di 35 dollari al barile, e potrebbe scendere ancora nel 2016, anche sotto i 30 dollari. Da un lato questo aiuterà le imprese in Europa perché riduce il costo dell’energia, ma dall’altro deprime il livello dell’inflazione nella zona euro, che rimane a fine 2015 un anemico 0,2 per cento. Mario Draghi vorrebbe portare l’inflazione verso il target del 2 per cento. Un po’ di inflazione, ricordiamo, serve come un lievito per la crescita economica.

Il crollo del petrolio intanto è tra le cause del disastro dell’economia in Russia, che ha sofferto una contrazione di circa il 4 per cento quest’anno, e dovrebbe calare ancora di un mezzo punto percentuale nel 2016, a patto che il prezzo del petrolio non scivoli ancora. Il crollo nei prezzi delle materie prime ha anche colpito il Brasile, che lo scorso anno ha sofferto una contrazione del Pil del 3,7 per cento e nel 2016 potrebbe contrarsi ancora tra il 2,5 per cento e il 3 per cento.

Per gli Stati Uniti e la zona euro si profila un miglioramento ma di poco nel 2016. Negli Usa, dove i consumi stanno andando bene assieme al mercato immobiliare, e con un tasso della disoccupazione del 5 per cento e destinato a scendere ancora, la crescita potrebbe accelerare da poco più del 2 per cento nel 2015 verso il 2,4 per cento nel 2016.

La ripresa della zona euro resta modesta, e si può prevedere un tasso di crescita dell’1,7 per cento nel 2016, poco superiore rispetto all’anno appena finito con l’1,5 per cento di crescita nel Pil.
I mercati finanziari sono in questo momento ossessionati dalle prospettive per la politica monetaria a Washington e Francoforte. La parola d’ordine è divergenza. Questo mese la Federal Reserve ha alzato i tassi d’interesse per la prima volta in quasi dieci anni, mentre in Europa Mario Draghi continua a promettere di usare il quantitative easing e compiere eventuali nuovi tagli dei tassi d’interesse nel 2016.

I mercati finanziari, un po’ viziati da Draghi in questi anni, sono delusi perché vogliono una mossa più forte, e il Financial Times ha riportato in questi giorni un sondaggio in cui poco meno della metà degli economisti non si aspetta nessuna mossa nuova dalla Bce. A mio avviso Draghi, come sempre, sorprenderà, anche perché ha ogni interesse a spingere giù l’euro contro il dollaro, sia per importare un po’ d’inflazione sia per aiutare gli export europei. Ma sarà una lunga partita di poker, e dubito che la Fed alzerà di nuovo i tassi d’interesse prima di marzo o aprile.

In Europa, tra le migliori performance c’è quella del Regno Unito, che dovrebbe continuare a crescere a un tasso di circa 2,5 per cento nel 2016. La Germania dovrebbe arrivare a un ritmo di crescita del Pil dell’1,8 per cento nel 2016, un modesto miglioramento sull’1,7 per cento del 2015. Ma, fatto particolare, il grande flusso di migranti in Germania potrebbe stimolare un po’ l’economia tedesca. La Francia continua la sua ripresa debole; nel 2015 sarà cresciuta poco più dell’1 per cento e nel 2016 potrebbe arrivare a un tasso di crescita dell’1,3 o 1,4 per cento.

E l’Italia? La ripresa fievole dell’anno ormai trascorso, con una crescita del Pil dello 0,8 oppure 0,9 per cento non dà motivo di rallegrarsi, e pure Matteo Renzi ha notato che una crescita di circa l’1,6 per cento nel 2016 «non basta». Ha ragione. Anche se il Jobs act e le altre riforme in corso vanno nella direzione giusta, ci vuole di più per creare nuovi posti di lavoro e portare il tasso di disoccupazione sotto l’attuale 11,5 per cento. Le riforme aiutano, ma il quadro mondiale rimane mediocre.

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