L’elezione di Zohran Mamdani a New York può aprire un nuovo fronte politico, con il tycoon pronto a trasformare il nuovo sindaco in caricatura
Un anno fa, il 5 novembre 2024, Donald Trump veniva eletto alla Casa Bianca come 47esimo Presidente degli Stati Uniti. Tra un anno, il 5 novembre 2026, gli americani voteranno per le elezioni di metà mandato – che si preannunciano come un referendum decisivo per capire se i Democratici riusciranno a riconquistare la Camera dei Rappresentanti e imporre un freno costituzionale all’agenda autoritaria di Trump.
Nel frattempo – anche se al momento della stesura di questo articolo non era ancora certo – è altamente probabile che le elezioni americane di ieri abbiano prodotto una nuova figura radicale di sinistra come sindaco di New York City: Zohran Mamdani. In tutti i sondaggi Mamdani era costantemente avanti di oltre 10 punti rispetto al suo rivale più vicino, l’ex governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo, caduto in disgrazia.
Mamdani, nato in Uganda e musulmano, si definisce un «socialista democratico». Ha fatto promesse considerate populiste, folli e irrealistiche – dai generi alimentari gratuiti ai trasporti pubblici gratuiti, fino a nuove imposte patrimoniali – ed è ferocemente anti-Israele, che accusa di genocidio, in una città con una vasta comunità ebraica. Ma Mamdani ha avuto un’ascesa meteoritica come anti-Trump. Anche tra molti elettori ebrei. Ed è una delle voci più articolate della sinistra radicale americana dai tempi in cui Alexandria Ocasio-Cortez esplose sulla scena nazionale.
Mamdani si è autodefinito «il peggior incubo di Donald Trump». Trump, dal canto suo, ha appoggiato Cuomo, l’ex governatore la cui reputazione segnata da accuse di molestie sessuali lo colloca appena un gradino sopra Harvey Weinstein nella scala morale. In un messaggio pubblicato sulla sua piattaforma Truth Social nel giorno del voto, Trump ha definito Mamdani un «comunista» e ha minacciato di tagliare miliardi di dollari di fondi federali destinati a New York in caso di sua elezione. Ha anche minacciato di inviare truppe federali per aiutare nelle deportazioni e ripristinare «legge e ordine». Con Mamdani sindaco, tutto questo potrebbe davvero accadere. Trump vuole lo scontro.
L’elezione di Mamdani è pittoresca, ma non dimentichiamo che questa è New York City – non l’America. New York è un’eccezione, un avamposto liberale e progressista, una roccaforte del Partito Democratico. Tuttavia il team di comunicazione di Trump potrebbe usare Mamdani per dipingere l’intero Partito Democratico come «comunista», facendo di lui il volto del socialismo democratico e dell’Antifa. Mamdani è perfetto: giovane, orgogliosamente socialista, figlio di immigrati, pro-inquilini, pro-sindacati, anti-Wall Street, fluentemente immerso nel linguaggio dei movimenti sociali. Insomma, l’esatto tipo di figura progressista che Trump può trasformare in caricatura: Antifa. Comunista. Radicale. Uomo nero. I discorsi dei comizi praticamente si scrivono da soli.
Ci sono state poi anche elezioni importanti per i governatori in New Jersey e Virginia, un test della forza dei due partiti a un anno dalle elezioni di metà mandato. In Virginia i sondaggi indicavano la democratica Abigail Spanberger in vantaggio solido sulla repubblicana Winsome Earle-Sears, segnalando una possibile riconquista democratica della poltrona di governatore. Barack Obama ha fatto campagna per Spanberger in Virginia, e questo conta. In New Jersey, ieri sera, la democratica Mikie Sherrill era in vantaggio sul repubblicano Jack Ciattarelli ma con un margine molto più ristretto.
Ma il voto più interessante si è svolto in California, sulla “Proposition 50” del governatore Gavin Newsom, che consentirà alla legislatura statale di ridisegnare i 52 collegi congressuali in vista delle elezioni del 2026. L’approvazione della misura comporterà l’eliminazione di cinque seggi tradizionalmente repubblicani. È la risposta di Newsom al gerrymandering ordinato da Trump in diversi Stati repubblicani come il Texas, dove cinque seggi democratici stanno per essere cancellati.
Fra un anno, la revisione delle mappe elettorali in pochi Stati – forse quattro o cinque Stati a guida repubblicana e due o tre a guida democratica – potrebbe determinare la capacità dei Democratici di riconquistare la Camera dei Rappresentanti. Il Senato probabilmente rimarrà nelle mani dei Repubblicani. Durante questa settimana elettorale, l’atmosfera a Washington è tutt’altro che rassicurante. La Corte Suprema inizia le udienze su un ricorso che potrebbe smantellare il vasto regime tariffario di Trump. Intanto, il governo federale resta chiuso per shutdown, e la proposta di bilancio di Trump lascerebbe senza copertura sanitaria tra i 10 e 15 milioni di americani.
In questo contesto, l’emergere di una figura combattiva e mediaticamente brillante come Mamdani nella città più grande d’America non è una nota a piè di pagina – è una scintilla in un campo secco. Trump, che governa per contrasto e conflitto, non lo teme; probabilmente lo desidera. Mamdani è il perfetto antagonista: incarnazione vivente di quell’America multiculturale, multietnica, redistributiva e internazionalista che Trump vuole fermare al confine e sconfiggere alle urne. Per Trump, Mamdani è perfetto: è il diavolo.





