L'ICONOCLASTA

Nella guerra di Vladimir alla democrazia l’anello più debole è l’America di Trump

La morte del dissidente russo è solo l’ultimo tassello di una strategia di infiltrazione nelle società occidentali. In Europa le tendenze illiberali sono ancora minoranza, ma Mosca conta sugli Usa per uno choc estremista

Il mio articolo su La Stampa

La morte di Alexey Navalny non dovrebbe essere vista in maniera isolata. Non si tratta semplicemente della morte dell’ultimo antagonista caduto dalla finestra o avvelenato con una tazza di tè. Navalny era un’icona, un simbolo di opposizione a un dittatore sanguinario. Quando lo ha spedito a morire in una colonia penale in Siberia, Vladimir Putin ha lanciato una provocazione a chi lo critica in Occidente. Ancora una volta, ha ficcato un dito nell’occhio della democrazia occidentale, offendendo i valori occidentali. Il suo è stato un messaggio di sfida.

La guerra di Putin alla democrazia occidentale è in corso da tempo, ormai. Per il dittatore russo, tuttavia, ci sono problemi più grandi di Navalny: con la sua rielezione del mese prossimo – una certezza, Putin è impegnato a influenzare concretamente l’ascesa della democrazia illiberale in tutta Europa e negli Stati Uniti e a creare il caos nell’ordine mondiale disegnato dall’Occidente. Probabilmente, sta finanziando vari tipi di operazioni finalizzate ad aiutare alcuni dei suoi amici e sostenitori in Europa impegnati a fare campagna elettorale per le elezioni di giugno del Parlamento europeo. È logico, in base al comportamento tenuto in passato e già confermato dall’Unione europea. Putin è di sicuro compiaciuto della tragedia in corso a Gaza, felice di vedere distolta l’attenzione dall’Ucraina, contento di vedere il caos che l’autoritario Benjamin Netanyahu sta disseminando, anche se il diabolico Putin appoggia Hamas.

Putin, in verità, ha dichiarato guerra alla democrazia occidentale e per perseguire i suoi scopi ricorrerà a «tutto quello è necessario». Ne ha fatto un obiettivo esplicito quando, nell’estate del 2019, ha detto al mio amico Lionel Barber del Financial Times che il liberalismo occidentale è diventato «obsoleto». Intendeva dire che è in arrivo un nuovo ordine mondiale, un mondo che trascende le istituzioni della Pax americana. L’ideale di Putin è un mondo di democrazia illiberale guidato da un assortimento di mini-Trump e min-Orbán.

Ormai, Putin è diventato vassallo del presidente Xi Jinping nel contesto di una visione condivisa di ordine mondiale meno democratico. È diventato anche partner consenziente dei terroristi di Hamas, degli ayatollah di Teheran e in pratica di chiunque sia disposto a sfidare gli Stati Uniti. È diventato il fortunato beneficiario della campagna contro l’Ucraina guidata da Trump e dai suoi seguaci filoputinisti di Washington. Grazie a Mike Johnson, speaker della Camera dei rappresentanti, Putin ha visto posticipati i tanto necessari aiuti statunitensi all’Ucraina del valore di 60 miliardi di dollari.

Vladimir Putin, quindi, sta tifando per la vittoria di Trump in America, a prescindere da quello che dice. Non bisogna credergli quando parla, sarebbe da ingenui. In un’intervista ha detto che sinceramente preferirebbe che fosse rieletto Joe Biden, e non che vincesse il suo amico Trump, ma quello che intendeva dire è che preferisce quest’ultimo. Coloro che capiscono la predilezione dell’ex agente del Kgb per la tecnica che consiste nel dire il contrario della verità, sanno che ciò che Putin sta cercando di fare è creare confusione e favorire la vittoria di Trump. Putin, dunque, dice il contrario di quello che intende, tattica di quella che gli agenti del controspionaggio definiscono una campagna di “psy-ops”, la guerra psicologica.

David Rothkopf, ex amministratore delegato di Kissinger Associates, ha compilato un elenco con una serie di eventi che, a suo dire, rientrano tutti in un’unica strategia contro l’Occidente, simboleggiata da Vladimir Putin ma nella quale si contano anche molti altri esponenti del Sud globale. La morte di Navalny, l’aggressione all’Ucraina da parte della Russia, la ferocia di Israele a Gaza, la corruzione di Trump, Maga che blocca gli aiuti a Kiev, i molteplici soprusi di Orbán e il nazionalismo hindu di Modi in India. Per Rothkopf sono tutti elementi di una medesima storia, esempi di una tendenza verso la democrazia illiberale e un mondo più caotico e violento, il risultato di quello che chiama «un movimento globale etnonazionalista guidato da Putin», che ha il fine di abbattere il liberalismo occidentale e dimostrare che la democrazia occidentale è meno efficace della dittatura e della democrazia illiberale.

Naturalmente, tutto questo deve essere contestualizzato in un travagliato periodo di cambiamento globale e di geometrie variabili nelle relazioni geopolitiche, unitamente alla frammentazione derivante dal processo di deglobalizzazione che sta investendo il sistema commerciale mondiale. Piaccia o meno, viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti, e non in meglio.

E poi ci sono quelli che fanno parte della quinta colonna, i tirapiedi e i vari utili idioti che Putin ha disseminato (e finanziato) in tutta Europa e negli Stati Uniti. Con il loro operato, stiamo assistendo all’incendio politico a macchia d’olio del populismo di destra, del nazionalismo, dei movimenti filoputiniani e antidemocratici.

Quantunque sia triste affermarlo, il partito repubblicano americano è diventato un partito antidemocratico. Perlopiù, i moderati sono spariti, sono deceduti o hanno lasciato la politica. Trump, il presunto candidato repubblicano, ha istigato un’insurrezione, invoca «l’abrogazione della Costituzione», si è inchinato davanti a Vladimir Putin e ha stretto amicizia con Viktor Orbán, l’autoritario leader ungherese. Steve Bannon e altri incaricati di Trump sono impegnati a garantire che i rapporti con Orbán, Geert Wilders, Alternativa per la Germania, Vox, Le Pen, e ogni altro partito illiberale di ultradestra in Europa restino aperti. Non si tratta di una cospirazione, ma del tentativo di forgiare un’alleanza globale di estrema destra. Purtroppo, molti di questi populisti di ultradestra sono figli di Putin, suoi tirapiedi, suoi collaboratori.

Noi americani abbiamo i nostri aderenti alla quinta colonna, come il complottista Tucker Carlson, ex giornalista di Fox News caduto in disgrazia e vergogna del giornalismo, propagandista calcolato di Vladimir Putin. Il recente incoraggiamento da parte di Trump a Putin a “fare quello che gli pare” in Europa ai Paesi membri della Nato è già abbastanza grave. La triste verità è che molti rappresentanti repubblicani della Camera sono disposti a fare tutto quello che Trump dice loro.

Mike Johnson, lo Speaker della Camera degli Stati Uniti è un alleato di Trump di estrema destra che sta frenando il voto a favore di aiuti umanitari all’Ucraina per 60 miliardi di dollari. Grazie all’accordo con Orbán di qualche settimana fa che ha permesso di sbloccare aiuti per 50 miliardi di euro, l’Europa è avanti da questo punto di vista rispetto agli Usa. Johnson, riferisce Newsweek, doveva restituire soldi a una società energetica che ha contribuito alla sua ultima campagna elettorale. Perché? È emerso che il suo azionista di maggioranza è amico di Vladimir Putin.

Il filoputiniano Mike Johnson ha mandato in ferie la camera bassa del Congresso per le prossime due settimane. Quindi, potrebbe essere metà marzo quando il Congresso sarà finalmente in grado di approvare un pacchetto di aiuti militari all’Ucraina per 60 miliardi di dollari. All’Ucraina, questo costerà molte più vite umane sul campo di battaglia.

In Europa c’è chi spera in uno tsunami di ultradestra alle elezioni europee di giugno, ma è più probabile che le frange estremiste, tra cui la maggior parte degli amici e degli alleati di Putin, non riescano a prevalere a Bruxelles. Il centro moderato verosimilmente reggerà, perché in Europa oggi i democratici illiberali sono ancora una minoranza.

Per la democrazia liberale il pericolo, ahimè, è di gran lunga più concreto negli Stati Uniti. È vero, una grande maggioranza di americani non vuole rieleggere un presidente ottuagenario, ma l’alternativa sembra essere quella di un uomo già condannato per frode fiscale e violenza sessuale e che deve ancora rispondere di 91 capi d’accusa.

Malgrado tutte le loro inefficienze e le loro letargiche procedure burocratiche, le democrazie parlamentari europee sono maggiormente in grado di assorbire lo choc dell’estremismo rispetto alla democrazia americana. L’America è più fragile. Il 5 novembre una vittoria illiberale potrà cambiare l’America e il mondo. Trump e il suo culto Maga hanno già paralizzato la Camera dei rappresentanti, condizionato la Corte Suprema e adesso minacciano una campagna di vendetta e ritorsione guidata dalla Casa Bianca, una sorta di “presidenza vendicativa”.

Tutta musica per le orecchie di Putin…

Traduzione di Anna Bissanti

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