“La fine dell’impero americano. Guida al Nuovo Disordine Mondiale” è l’ultimo libro del giornalista-scrittore
L’articolo di Andrea Cauti su Agi
AGI – La pax americana, l’ordine planetario nato dopo la fine della Seconda guerra mondiale che ha permesso all’Occidente di prosperare in pace, basato su istanze di democrazia e giustizia sociale, si avvia rapidamente alla conclusione. Le contraddizioni e palesi diseguaglianze create in ottant’anni, unite a una crisi economica e forse all’inevitabile esaurirsi del sistema capitalista, destinato a entrare in crisi come diceva Marx se non ci sono più popoli da sfruttare (perché oggi il cosiddetto Terzo mondo, o Sud del mondo, ha cambiato indirizzo e interlocutori economici-sfruttatori), sta provocando una situazione di incertezza e tensioni politiche interne ed esterne che riporta indietro di quasi cento anni, alla fine degli anni ’30 del secolo scorso. Questo è il contesto su cui si muove il giornalista e scrittore Alan Friedman per disegnare quello che è e potrebbe essere lo scenario geopolitico mondiale dei prossimi anni nel suo ultimo libro, ‘La fine dell’impero americano. Guida al Nuovo Disordine Mondiale’ (Ed. La nave di Teseo, pagine. 305; prezzo: 22 euro).
“Quello che sta emergendo è un Nuovo Disordine Mondiale. In questo nuovo mondo l’impero americano è in declino: non formalmente finito, ma in declino – scrive Freidman – in questo nuovo mondo l’Europa attraversa una crisi esistenziale a causa della guerra di Vladimir Putin, mentre Cina e Russia a braccetto cercano di porre fine alla pax americana. In questo nuovo mondo emergono potenze di medio livello che vogliono giocare un ruolo da protagonisti nell’emisfero meridionale. In questo nuovo mondo Cina e India si contendono la leadership di quello che oggi viene chiamato Global South, il Sud globale. In questo nuovo mondo nazioni come il Sudafrica e il Brasile si schierano spesso e volentieri al fianco di Russia e Cina, contro Washington. Nascono nuove alleanze trasversali, con accordi politici e commerciali internazionali che tendono a escludere gli Stati Uniti e a snobbare l’Europa, e hanno una sola cosa in comune: il rifiuto del vecchio ordine mondiale della democrazia liberale occidentale”, aggiunge lo scrittore.
Ovviamente l’attenzione massima è su Donald Trump, la cui possibile rielezione tra meno di una settimana è vista come un pericolo per l’equilibrio mondiale e per la definitiva fine dell’egemonia politica ed economica degli Usa. Friedman odia profondamente Trump. Perché ha portato il populismo al potere, ha un’idea della presidenza vicina al dittatore russo che lui ammira profondamente (e con cui ha rapporti economici), Vladimir Putin, vuole controllare la giustizia, vuole perseguitare (lo ha detto lui) gli oppositori.
“Donald Trump vorrebbe ridurre in macerie i pilastri della democrazia americana. Lui stesso, del resto, ha esplicitato le sue intenzioni – scrive Friedman – ha promesso di rastrellare e deportare milioni di immigrati e costruire per loro nuovi centri detentivi. Ha assicurato che lo stato ‘monitorerà’ le gravidanze delle donne per togliere di mezzo l’aborto e infine ha detto chiaro e tondo che userà i poteri del presidente per imbastire una campagna ‘punitiva’, su larga scala, contro i suoi nemici politici”.
Quindi cita un aforisma spesso attribuito allo scrittore americano Sinclair Lewis, che nel 1935 pubblicò un romanzo su un leader populista e nazionalista che diventa presidente (‘Da noi non può succedere’): “Quando il fascismo verrà in America, sarà avvolto nella bandiera e porterà la croce”. Trump, scrive Friedman, non solo porterà l’impero americano a un rapidissimo declino a vantaggio della Cina – che comunque secondo gran parte degli analisti entro il 2040 raggiungerà o supererà il Pil degli Usa – ma contribuirà a legittimare ulteriormente i dittatori – come Mohammad bin Salman – o gli autocrati (democraticamente eletti) come Vladimir Putin, Victor Orban, Tayyip Erdogan, Banjamin Natanyahu o l’indiano Narendra Modi favorendo quello che definisce “il Nuovo Disordine Mondiale”.
“Gestire un impero non è veramente la nostra specialità, è una cosa in cui noi americani non siamo mai stati troppo bravi – conclude Fiedman – ma ciò che ci aspetta potrebbe essere molto peggio rispetto a quell’impero ingenuo e malgestito che abbiamo conosciuto negli ultimi ottant’anni. Almeno metà dell’America si sta ibernando in un isolazionismo primitivo e ignorante”.
E le presidenziali Usa del 5-6 novembre potranno rappresentare un punto di svolta, in un verso o nell’altro. “Mai la scelta è stata cosi’ radicale tra due visioni contrapposte – scrive Alan Friedman – una che vuole distruggere la posizione che l’America si è ritagliata nel mondo ed è pronta ad avvantaggiare i nemici del paese, l’altra che cerca di puntellare e ristrutturare quello che resta del sistema occidentale basato sulle regole. Restringendo la prospettiva al solo punto di vista interno – aggiunge – le presidenziali del 2024 si sono strutturate come un confronto tra degli elettori preoccupati che l’America possa diventare una democrazia illiberale, se non peggio, e dei cinici che si sono schierati con i repubblicani solo perché proponevano tasse più basse, fianco a fianco con i seguaci sottoacculturati della setta trumpiana, che sono tanti”.