Per Joe Biden l’ondata di proteste filopalestinesi e antisraeliane che coinvolgono gli studenti nei campus universitari di tutti gli Stati Uniti è un problema politico enorme.
Il mio editoriale su La Stampa
Potrebbe causare la sua sconfitta nelle elezioni di novembre. Diventate sempre più gravi e violente, le manifestazioni rivelano un mix assurdo di ingenua spontaneità e di inconsapevole ipocrisia da parte di molti studenti, abbinato a un virulento antisemitismo di molti agitatori esterni. La faccenda peggiora i guai del presidente americano, che fatica a sorpassare Donald Trump nei sondaggi. Giovedì Biden infine ha rotto il silenzio. Ha cercato di ottenere due risultati contraddittori. Primo, si è presentato come un politico duro, tutto “legge e ordine”, che darà un giro di vite a ogni forma di violenza. Secondo, ha cercato di tranquillizzare l’ala di sinistra del suo partito, evitando di offendere i giovani elettori filopalestinesi scesi in strada. Non ha funzionato.
Biden ha un vero problema. Il suo tentativo di esercitare pressioni su Netanyahu per Gaza, pur continuando a mandare armi a Israele, sta facendo infuriare la sinistra del suo stesso partito, senza per altro accontentare la destra. Sembra che molti manifestanti non si rendano conto che, in sostanza, stanno aiutando Trump. In Michigan e altrove sono già numerosi gli americani musulmani che pensano che a novembre resteranno a casa, invece di andare a votare per Biden. Se la rabbia in tutta l’America dovesse farli restare a casa, determinando così la vittoria di Trump, quei giovani di fatto rieleggeranno colui che il primo giorno della sua amministrazione firmò il Muslim Ban (il divieto di ingresso da Paesi a maggioranza musulmana, N.d.T.). È assurdo. È agli atti che Trump non crede in una soluzione a due Stati, e questa settimana ha minacciato di mandare l’esercito ad arrestare e disperdere gli studenti che manifestano. Per Benjamin Netanyahu, Trump è anche la migliore speranza di poter restare aggrappato alla sua poltrona. La reputazione di cui gode Biden presso i giovani americani è già sottoterra. Da uno studio del Pew Research Center risulta che, tra gli elettori di età inferiore ai trent’anni, Biden gode di un indice di gradimento del 28 per cento soltanto. Anche un recente sondaggio della CNN ha mostrato che uno sbalorditivo 81 per cento di elettori di età inferiore ai trentacinque anni disapprova la gestione Biden della guerra di Israele a Gaza. Giovedì il presidente Biden ha detto all’America che sia la libertà d’espressione sia la legalità «vanno sostenute», ma ha sottolineato che «il dissenso violento non è tutelato». «Gli atti vandalici, le violazioni della proprietà privata, l’infrazione dei vetri delle finestre, la chiusura dei campus, costringere a cancellare corsi, lezioni e sessioni di laurea: niente di tutto questo significa protestare in modo pacifico. Minacciare le persone, intimidirle, instillare in loro la paura non significa protestare in modo pacifico», ha detto.
Purtroppo per lui, Biden potrebbe trovarsi in una situazione perdente in ogni caso. Se apparirà troppo duro nelle sue critiche agli studenti, perderà i voti della sinistra e dei giovani. Se però non condannerà le violenze, non farà il suo lavoro e perderà i voti dei moderati. Io credo che sia errato mettere sullo stesso piano le proteste anti-Israele del 2024 e le proteste per il Vietnam del 1968: a quel tempo gli studenti sapevano benissimo contro cosa stessero protestando, Richard Nixon e la sua guerra in Asia sudorientale. Oggi, il livello di ignoranza nei campus delle università americane è sconvolgente.
Un sondaggio del dicembre scorso condotto dall’Università della California a Berkley tra gli universitari americani ha appurato che il 53 per cento degli studenti che scandiscono lo slogan antisemita «dal fiume al mare la Palestina sarà libera» non ha nemmeno idea di quale fiume o quale mare si tratti. Questo grido di guerra è stato usato a lungo dai sostenitori di Hamas. È l’appello per uno Stato palestinese che si estenda dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo. Implica che Israele dovrebbe essere spazzato via. Il sondaggio dell’università ha dimostrato che soltanto il 47 per cento degli studenti che scandiscono lo slogan sa di quale fiume e di quale mare si tratta: alcuni hanno pensato al Nilo o all’Eufrate, oppure al Mar Morto, all’Atlantico e al Mar dei Caraibi.
Meno di un quarto degli studenti intervistati sapeva chi fosse Yasser Arafat, il leader dell’Olp; il dieci per cento ha detto che fu il primo premier di Israele. Questa è la situazione a cui deve far fronte l’America. Anche buona parte d’Europa è in questa situazione: la guerra a Gaza ha comprensibilmente infiammato una generazione, ma il subbuglio è altresì il prodotto di massiccia disinformazione, anarchia dell’informazione e confusione generale risultante dalla onnipresenza tra gli studenti dei social media. E non soltanto tra loro.