I repubblicani puntano tutto sul figlio del presidente per oscurare i guai giudiziari del tycoon. L’obiettivo è distrarre i cittadini e ripetere la sporca operazione del 2016 contro Hillary Clinton
Il mio editoriale pubblicato su La Stampa
L’efficacia con cui i leader populisti d’America e d’Europa sono riusciti a mettere in discussione la veridicità dei fatti è una delle caratteristiche più rilevanti della politica di massa del XXI secolo. Sono arrivati a contestare verità comprovate sulla schiavitù o a negare le nozioni scientifiche alla base dei vaccini contro il Covid. Noi americani ci troviamo a vivere in un mondo di “post-verità”, in cui i fatti non devono più avere necessariamente un loro peso all’interno del dibattito pubblico. Molti politici estremisti – imitati in questo da una significativa quota di omologhi europei – negano delle verità oggettive, e sono così bravi a farlo che riescono a spingere una fetta non indifferente della popolazione a dubitare della realtà.
Il nero è bianco. Il giorno è notte
Prendiamo per esempio la “Big Lie” di Trump: si ritiene che il totale degli americani che ancora oggi crede che sia stato Trump a vincere le elezioni del 2020 possa assommare a quasi un terzo dell’elettorato. Oppure vogliamo parlare di Hunter Biden, figlio del presidente ed ex tossicodipendente? Lo hanno trasformato in una specie di “ragazzo copertina” del malaffare, attribuendogli tanti e tali crimini da far impallidire Al Capone. Ma la sua tendenza a sfruttare un cognome pesante per fare affari, quando il padre era vicepresidente, non è nulla in confronto agli intrallazzi tra Jared Kushner e Mohammad bin Salman, il principe saudita che ha concluso un curioso investimento dando due miliardi di dollari al genero di Trump, sei mesi dopo che il tycoon aveva lasciato la Casa Bianca.
In ogni caso, l’ex presidente e il team che cura la sua campagna elettorale hanno preso di mira Hunter Biden. E vogliono fare rumore. Anche se gran parte di ciò che diranno non avrà alcun fondamento reale. Venerdì scorso è saltato il patteggiamento tra Hunter Biden e il procuratore del Delaware, il che significa che con ogni probabilità a breve il figlio del presidente sarà chiamato a rispondere alle accuse di evasione fiscale. L’altro reato per il quale si è già dichiarato colpevole è il possesso illegale di un’arma acquistata nel 2018, una Colt Cobra 38 special, nonostante i suoi problemi di dipendenza da cocaina che gli avrebbero, se dichiarati, impedito di possedere un’arma. Le due accuse comunque sono reati minori, non particolarmente gravi. Il figlio del presidente potrebbe finire in tribunale all’inizio del 2024, a Washington, in concomitanza con l’inizio del processo a Donald Trump, sempre a Washington. Quelle a carico del tycoon però sono accuse ben più gravi, correlate all’insurrezione del 6 gennaio: cospirazione per rovesciare il risultato elettorale del 2020 e intralcio alla giustizia.
I primi mesi del 2024 segneranno anche l’inizio della campagna elettorale per la corsa alla Casa Bianca, con i caucus dell’Iowa e le primarie di importanza strategica che si terranno un po’ in tutto il Paese. Le tempistiche dei processi imporranno a Trump di fare la spola tra comizi e aule di tribunale, scindendosi nel doppio ruolo di candidato e imputato. La tornata elettorale del 2024 lo vedrà costantemente impegnato a difendersi in vari processi, per la gioia dei democratici.
Il fatto che Hunter Biden non sia riuscito ad arrivare al patteggiamento, però, potrebbe diventare un’enorme spina nel fianco della campagna di suo padre. Un punto debole. Per quanto sia un’ipotesi improbabile, potrebbe persino indurre il presidente a rivedere i suoi piani. La ferocia con cui negli ultimi cinque anni i repubblicani si sono scagliati contro Hunter Biden per le sue fantomatiche efferatezze ricalca quella con cui Trump attaccava Hillary Clinton. La sua strategia ai tempi era semplice: urlare menzogne su menzogne, e poi ripeterle ancora e ancora. Ora non deve far altro che prendere il vecchio coro “Lock her up”, ovvero “Sbattetela dentro” e riutilizzarlo al maschile in una nuova versione aggiornata su misura per Hunter Biden.
Al fine di scongiurare qualsiasi sospetto di interferenza politica, il ministro della Giustizia di Biden stesso ha elevato allo status di procuratore speciale David Weiss, che nel 2018 era stato nominato procuratore generale del Delaware proprio da Trump e aveva subito dato inizio a un’indagine su Hunter Biden. Ora i suoi poteri vengono rafforzati: la notizia arriva proprio mentre alla Camera dei Rappresentanti i repubblicani procedono a loro volta con una presunta “indagine” sul figlio del presidente. I trumpiani faziosi che controllano la Commissione di Vigilanza lanciano falsità sui Biden. Li dipingono come una “famiglia criminale”, inventandosi false accuse a decine e cercando di infangare il presidente e il figlio.
E le prove? Non sembra che ne abbiano. Si stanno inventando “fatti” tutti loro. In accordo col team responsabile della campagna elettorale, cercheranno di far passare il messaggio che i guai fiscali di Hunter Biden siano molto peggio di qualsiasi grana che Trump possa avere con la giustizia. Diranno bugie su bugie, continueranno a mentire e mentire, per tutto l’anno prossimo. C’è da ricordare che una percentuale non indifferente di elettori ormai non sanno più distinguere i fatti dalle menzogne, e spesso non vogliono nemmeno farlo.
È questo il destino che tocca ai “fatti” nell’America di oggi. È quasi certo insomma che la strategia dei repubblicani per le elezioni del 2024 verterà anche su questa falsa equivalenza tra i processi di Trump e le accuse a carico del figlio del presidente. Metteranno una grande pressione psicologica su Joe Biden, colpendolo proprio sul suo nervo scoperto, l’unico tema su cui ha un’effettiva debolezza. E non perché personalmente abbia fatto qualcosa di male, ma perché ha già visto morire due figli. Hunter è l’unico figlio maschio che gli rimane.
Ritengo comunque che Joe Biden non si ritirerà dalla corsa, soprattutto perché è sinceramente convinto che nessun democratico a parte lui sia in grado di battere Trump. Ma dietro le quinte, fuori dai radar, ci sarebbe un altro candidato in attesa. È il governatore della California Gavin Newsom, un giovane carismatico, liberista ma dotato di coscienza sociale. Qualora Biden dovesse iniziare a vacillare, molti addetti ai lavori di Washington punterebbero su di lui. Ha la brillantezza e l’energia per annientare Trump in qualsiasi dibattito, e potrebbe anche sconfiggerlo alle urne con più tranquillità di Biden.
Per ora tuttavia nel mirino dei repubblicani c’è ancora la famiglia Biden, mentre i democratici attendono con ansia il prossimo grande rinvio a giudizio di Trump, che dovrebbe arrivare nel giro di un paio di settimane. Fani Willis, coraggiosa procuratore di Atlanta, in Georgia, dovrebbe ufficialmente accusarlo di aver cospirato per falsare i risultati elettorali nello Stato di Georgia, e di aver creato dei “falsi elettori” che il vicepresidente Mike Pence avrebbe dovuto accettare e ratificare il 6 gennaio.
Sono accuse di una gravità estrema, come quelli già depositati dal Procuratore Speciale Jack Smith. Ma non avranno la minima importanza nel Paese delle Meraviglie in cui vivono oggi i repubblicani trumpiani. Perché loro diranno sempre la stessa cosa: «E allora Hunter Biden?». Sarà il loro mantra, e lo ripeteranno allo sfinimento, da oggi fino al giorno delle elezioni del novembre 2024.