Nelle elezioni di domani è in palio niente meno che il futuro dell’America in quanto democrazia. Il mio editoriale, pubblicato stamattina su La Stampa.
2 novembre 2020 – Domani è l’Election Day in America: la mia umile opinione è che sia, con ogni probabilità, l’elezione presidenziale più importante nella storia recente degli Stati Uniti. Il motivo? Domani gli americani decideranno se vogliono riprendere in mano la loro democrazia e riportare gli Usa a una situazione complessiva più normale, con un leader che crede davvero allo Stato di diritto e non si inchina davanti ai dittatori, avversando nel contempo i tradizionali alleati come la Nato e l’Europa. Un leader che non si spertica in lodi all’indirizzo dei suprematisti bianchi mentre fomenta la violenza razzista. Un leader, infine, che difende il nostro diritto di voto e i nostri diritti civili, piuttosto che attaccarli.
Con Donald Trump alla Casa Bianca abbiamo assistito a un ininterrotto sforzo per indebolire e delegittimare le istituzioni democratiche, le regole e le norme che hanno fatto dell’America un modello per il mondo intero. Per fare solo qualche esempio: la sua smaccata politicizzazione del ministero della Giustizia, i suoi frequenti appelli per incriminare e sbattere in prigione il suo predecessore Barack Obama e il suo rivale Joe Biden, il suo tentativo di minacciare e corrompere un leader straniero per aprire un’indagine farlocca ai danni della famiglia Biden. Proprio le pressioni esercitate sul leader ucraino Zelensky nel 2019 hanno portato alla richiesta di impeachment.
Ma dopo che il Senato a trazione repubblicana l’ha prosciolto dalle accuse a febbraio, Trump non ha più avuto alcun freno nell’opera di distruzione dei consueti codici morali e delle normali pratiche presidenziali. È divenuto sempre più autoritario, e anche spesso irrazionale, e per questo motivo molti repubblicani conservatori, inclusi parecchi generali di primo piano del Pentagono, hanno fatto sentire la loro voce, esprimendo le loro preoccupazioni per il futuro della democrazia americana, in caso di rielezione del presidente. Se Trump dovesse perdere, sarà perché 230.000 americani sono morti di Covid, perché l’economia ha sofferto, perché lui per primo ha dimostrato di essere un negazionista del virus e un complottista privo di alcun senso dell’equilibrio. Sarà perché la maggioranza degli americani avrà decretato: “Basta. Questa non è la nostra nazione, noi non siamo così. Siamo meglio di così”. Il mio amico David Gergen, consigliere presso la Casa Bianca durante i mandati Nixon, Ford, Reagan e Clinton, è un uomo cauto. Ma la settimana scorsa ha dichiarato che «in questo preciso momento la democrazia è in pericolo».
Se Biden dovesse trionfare in modo netto, con un vantaggio intorno agli 8, 10 punti percentuali, nessuno potrebbe negare una simile vittoria a valanga. Ma Gergen ha anche parlato di uno «scenario da incubo»: una vittoria di Biden dell’ordine del 2-3%, con un Trump che tiene fede alle sue minacce e scatena la sua schiera di avvocati, lanciando numerose cause legali nel tentativo di annullare milioni di voti giunti per posta.
Se il melodramma politico va in scena nei tribunali e arriva fino alla Corte Suprema, Trump spera che i giudici che lui stesso ha nominato – Amy Coney Barrett, Brett Kavanaugh e Neil Gorsuch – siano decisivi per assegnargli la vittoria a suon di carte bollate. Nel peggior caso possibile, Trump utilizzerà la sua retorica incendiaria per mobilitare le sue milizie di bifolchi e fomentare gli scontri sociali. La mia speranza è che ci sia un passaggio di potere pacifico, e che un Joe Biden vittorioso alle urne possa prestare giuramento come nostro nuovo presidente il 20 gennaio 2021. Ma già il semplice fatto che quasi tutti gli analisti politici più seri adesso descrivano lo «scenario da incubo» come una possibilità concreta rappresenta di per sé un fatto senza precedenti nella nostra storia. Un fatto a dir poco agghiacciante. È per questo che si può ragionevolmente dire che alle elezioni di domani è in palio niente meno che il futuro dell’America in quanto democrazia. E io credo che una netta maggioranza dei miei connazionali, stavolta, preferirà la luce all’oscurità.