L'ICONOCLASTA

IL PD RALLENTA MA VINCE. ORA TORNIAMO IN FRETTA ALLE RIFORME

9 giugno 2014 – La valanga del 25 maggio ha subito una battuta d’arresto. Il Pd non conferma il risultato strepitoso del primo turno ma esce comunque vittorioso dai ballottaggi di ieri: due terzi dei 139 comuni chiamati al voto scelgono di affidarsi al centrosinistra.

A sbiadire la carica propulsiva di Matteo Renzi hanno sicuramente influito le inchieste giudiziarie di Venezia, cui i cittadini, tentati anche da una domenica di sole splendente da nord a sud, hanno risposto con un astensionismo record. Tra la tornata elettorale collegata alle europee e il secondo turno, l’affluenza è passata dal 70,6 al 49,5 per cento: ben 20 punti in meno.

Il Partito democratico perde clamorosamente uno storico bastione rosso come Livorno, ora ai 5 Stelle, mentre altre tre roccaforti della sinistra – Perugia, Padova e Potenza, andate rispettivamente a Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia – virano a destra. A compensare, passano al centrosinistra Pavia, Pescara, Vercelli, Bergamo, Cremona, Biella e Verbania.

Il tonfo a Livorno di un renziano dell’ultima ora come Marco Ruggeri, per quanto fragoroso, non deve comunque far perdere di vista il quadro generale: l’avanzata del Pd c’è. Rispetto al passato, dove i democratici amministravano 112 comuni superiori, si è passati a 141, e da 16 capoluoghi ora il centrosinistra ne governa 19.

Un risultato che non provoca nessun vero sconvolgimento nel panorama politico e premia la stabilità incarnata dal principale partito di governo. Quindi, archiviate le elezioni europee e comunali, è il momento di tornare con decisione alle riforme.

La situazione è molto grave, i dati economici sono negativi. Siamo in una fase di stagnazione, la disoccupazione continua ad aumentare. Mario Draghi ha messo in campo quasi tutto l’arsenale Bce per tentare di risollevare un’unione monetaria moribonda e minacciata dallo spettro della deflazione: è questo il momento di avviare a casa tutte le riforme di vasta portata che sono state rinviate per anni. Bisogna portare nel XXI secolo il mercato del lavoro, le istituzioni, la burocrazia, il sistema previdenziale.

E non si può ignorare il debito di 2.100 miliardi di euro, che rimane una palla al piede del Paese, anche se lo spread si è ridotto e anche se si spera un bel giorno di rinegoziare il Fiscal Compact. Bisogna sferrare un attacco senza precedenti al debito pubblico. E bisogna farlo adesso. Senza una vera scossa per l’economia, non c’è speranza.

ULTIMI ARTICOLI