L'ICONOCLASTA

Un nuovo disordine mondiale

La politica estera degli USA di Donald Trump appare imprevedibile, dirompente e spesso economicamente dolorosa persino per i più stretti alleati americani.

Il mio articolo sul Corriere del Ticino

Gli Stati Uniti di Donald Trump non sono più il garante dell’ordine liberale occidentale che ha contribuito a garantire stabilità globale dal 1945. Oggi la politica estera di Washington appare imprevedibile, dirompente e spesso economicamente dolorosa persino per i più stretti alleati americani.

L’America resta la maggiore potenza militare, la più grande economia mondiale e il leader indiscusso dell’innovazione tecnologica. Eppure il comportamento mercuriale del presidente sulla scena internazionale ha indebolito la credibilità americana e danneggiato la reputazione degli Stati Uniti come difensori del diritto internazionale.

Per anni si temeva un ritiro isolazionista degli USA. Invece stiamo assistendo a qualcosa di diverso: una forma di bullismo occasionale e di neo-interventismo. Trump ha bombardato siti nucleari iraniani e colpito imbarcazioni sospette di narcotraffico nei Caraibi. Ha minacciato azioni militari contro Danimarca, Panama, Venezuela e oggi persino la Nigeria. Insieme alle guerre commerciali, queste mosse hanno ridotto il rispetto globale per Washington.

A onor del vero, non tutto è fallito. Il ruolo di Trump nel processo di cessate il fuoco a Gaza è stato costruttivo e importante e il presidente merita credito per questo.

Tuttavia, l’approccio improvvisato e transazionale alla politica estera genera più incertezza che stabilità. Stiamo entrando in una fase che potremmo definire «Nuovo Disordine Mondiale», un’epoca in cui l’America non riesce più a imporre automaticamente la propria volontà. Tre esempi lo dimostrano: Cina, Ucraina e tariffe.

Cina: una tregua che assomiglia a una sconfitta

Trump ha avviato la guerra commerciale con Pechino già nel suo primo mandato, ma lo scorso aprile ha dichiarato una sorta di «giorno della liberazione».

La «tregua» annunciata dopo l’incontro con Xi Jinping in Corea del Sud la settimana scorsa è stata in realtà una sconfitta per gli Stati Uniti. La Cina aveva minacciato di bloccare l’export di terre rare e minerali strategici verso l’Occidente e forte del suo monopolio è riuscita a far retrocedere Washington. È bastato promettere l’acquisto di qualche tonnellata di soia, riaprire il rubinetto delle terre rare e permettere a Trump di mettere le mani su TikTok, affidandola ai suoi sponsor finanziari in orbita MAGA guidati da Larry Ellison di Oracle.

Risultato: Trump ha ridotto i dazi. Una sconfitta camuffata da tregua. La Cina è apparsa più forte degli Stati Uniti.

Ucraina: una linea americana oscillante ed erratica

L’Ucraina resta il test decisivo della coesione occidentale. Il sostegno americano è stato vitale per Kiev dal 2022, ma oggi Trump non offre più aiuti finanziari diretti: preferisce vendere armi agli europei, lasciando che siano loro, poi, a sostenere Kiev.

Su dossier sensibili, l’Europa non può più dare per scontata la costanza strategica americana. Le politiche USA su Kiev oscillano. Ma l’Europa è divisa e debole, è quasi irrilevante sulla scena globale.

Nel frattempo Vladimir Putin corteggia Trump da mesi e finora ha funzionato. E ora? Il presidente americano ha iniziato solo di recente ad esercitare pressioni su Mosca. Saranno efficaci?

La Svizzera intanto ha dimostrato disponibilità a contribuire al processo della ricostruzione dell’Ucraina, in linea con i suoi valori di neutralità attiva e la sua lunga tradizione umanitaria.

Dazi: il fuoco «amico» sugli alleati

Il terzo esempio dell’approccio trumpiano è la guerra commerciale. Gli Stati Uniti hanno applicato tariffe del 39% su molte esportazioni svizzere, inclusi prodotti industriali e di precisione. Una forma di coercizione economica mascherata da strategia – che colpisce soprattutto partner e amici.

Per la Svizzera le conseguenze sono tangibili. Sulla base dei dati macroeconomici aggiornati, il gruppo di esperti sulla congiuntura prevede una crescita modesta: +1,3% nel 2025 e appena +0,9% nel 2026. UBS stima che dazi americani persistenti potrebbero ridurre il PIL elvetico fino allo 0,4%. E gli analisti avvertono che fino a 20 mila posti di lavoro sono potenzialmente a rischio.

Conclusione: mantenere la calma in un’epoca di volatilità

Gli Stati Uniti restano la grande potenza predominante, ma oggi sono meno prevedibili e meno rispettati. Il mondo si sta adattando a questo nuovo disordine mondiale, dominato dall’incertezza. L’Europa deve rafforzare la propria autonomia strategica, diversificare i mercati e pensare seriamente alla difesa. Ma l’Europa resta divisa.

La Svizzera dovrà sperare di convincere Washington ad abbassare i famigerati dazi del 39%. Tuttavia, conoscendo il carattere sobrio ed elegante della vostra classe dirigente, dubito che vedremo Berna proporre a Trump il Premio Nobel per la Pace, o inviare a Washington il presidente della Confederazione con in mano una corona d’oro massiccio da consegnare nello Studio Ovale.

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