Putin lo manipola e Israele lo sfida. E la diplomazia Usa cede agli interessi personali del tycoon
Donald Trump è convinto di meritare il Premio Nobel per la Pace. Si autodefinisce un pacificatore, vantandosi di aver chiuso più guerre di George Washington e Abraham Lincoln messi insieme.
Ma i suoi tentativi di porre fine alla guerra in Ucraina si stanno disgregando, dopo che la Russia ha annunciato di non voler neppure prendere in considerazione l’idea di un cessate il fuoco. Nel frattempo, nonostante la presenza in Israele della sua squadra di emissari – il vicepresidente JD Vance, il genero Jared Kushner e l’amico di golf soprannominato “inviato speciale ovunque” Steve Witkoff – la Knesset è riuscita mercoledì a infliggere un colpo duro alle speranze di una pace duratura.
Questa settimana Trump ha annullato il previsto vertice di Budapest con Vladimir Putin, mentre il dittatore russo ha intensificato la sua brutale campagna di bombardamenti sull’Ucraina, colpendo ospedali, asili e convogli umanitari. Mentre Vance da Tel Aviv parlava di un’imminente “pace storica”, la stessa Knesset votava per annettere la Cisgiordania: un passo esplosivo che mina la soluzione dei due Stati e compromette decenni di diplomazia faticosa.
Le ambizioni di Trump di passare alla storia come “il presidente della pace” sembrano svanire, travolte dalle bombe e dalle divisioni. Le sue grandi aspirazioni in Medio Oriente e in Europa si scontrano con la realtà di una Russia sempre più aggressiva e di un Israele sempre più irresponsabile.
Parlare di una pace duratura a Gaza è inutile se non c’è alcuna prospettiva di uno Stato palestinese.
Non può esserci “normalizzazione” dei rapporti con l’Arabia Saudita o con il resto del mondo arabo se Israele considera la Cisgiordania come proprio territorio sovrano. È una farsa e un insulto, firmato dagli estremisti di destra che governano accanto a Benjamin Netanyahu.
Israele, una provocazione dalla Knesset
Oggi il segretario di Stato americano Marco Rubio raggiungerà Netanyahu a Gerusalemme. Entrambi dovranno affrontare domande scomode sulla Cisgiordania. Il premier israeliano, in imbarazzo per il voto della destra radicale che vuole applicare la sovranità israeliana a tutti gli insediamenti, ha cercato di prendere le distanze dalla Knesset, che ha approvato la mozione con un margine risicato di 25 voti a 24 dopo un dibattito acceso.
Il provvedimento dovrà comunque superare altre due votazioni in plenaria, dunque non è ancora legge. Ma il segnale politico è devastante: il voto arriva a un mese da quando Trump aveva dichiarato, con la sua consueta enfasi: «Non permetterò a Israele di annettere la Cisgiordania. No, non lo permetterò. Non succederà».
Putin bombarda, Washington esita
In Europa, la macchina da guerra russa intensifica l’offensiva, riducendo in macerie ospedali e scuole. Mosca agisce impunemente, forse perché sembra a qualcuno che gli Stati Uniti non guidino più. Trump appare malleabile. Putin, vecchia volpe del Kgb, vede in lui un uomo facile da manipolare: un presidente che diventa docile dopo ogni colloquio, che rifiuta di sfidare l’aggressione russa e riserva la sua vera ostilità non ai dittatori, ma agli alleati democratici dell’America.
È, dopotutto, lo stesso presidente che ha dichiarato una guerra commerciale all’Europa, che un tempo minacciò di “prendere” la Groenlandia con la forza e che disprezza Volodymyr Zelensky, trattandolo con sarcasmo e arroganza. Trump è incapace – o forse non vuole – capire che la difesa dell’Ucraina è anche la difesa dell’Occidente.
Mercoledì, il segretario generale della Nato, Mark Rutte è volato a Washington per incontrarlo, cercando di convincerlo a proseguire i suoi sforzi sulla guerra in Ucraina. «Trump è l’unico uomo che può riuscirci», ha detto Rutte, riempiendolo di lodi nella speranza di smuovere qualcosa. Naturalmente, con un personaggio così volubile come Trump, tutto può cambiare da un giorno all’altro: in qualsiasi momento potrebbe perfino di nuovo mostrarsi improvvisamente aggressivo verso Putin. Ma alla fine vuole fare amicizia e business con Putin, almeno così sembra.
L’America autoritaria e il mondo senza guida
In patria, il disordine riflette la confusione all’estero. Gli istinti autoritari di Trump hanno scatenato proteste di massa in decine di città americane, e lui risponde non con il dialogo, ma con la volgarità: si mostra vestito da re mentre “bombarda” i suoi concittadini con letame – sarebbe ridicola se non fosse così inquietante. È la metafora perfetta di una presidenza che confonde la derisione con la leadership e l’illusione con il potere.
Ed è su quest’uomo che dovrebbe poggiare la fiducia del mondo libero: un presidente più a suo agio nel minacciare i propri cittadini che nell’affrontare gli autocrati; più ossessionato dai sondaggi e dagli ascolti televisivi che dalle alleanze o dalla strategia.
Per l’Europa, le implicazioni sono gravi. Il vecchio legame transatlantico che per settantacinque anni ha garantito pace e prosperità appare oggi fragile. Nei corridoi di Bruxelles e Berlino si sussurra ciò che nessuno osa dire in pubblico: l’America di Trump è diventata un rischio, non una guida.