L'ICONOCLASTA

BERLUSCONI: «Obama al G20 si comportò bene. I leader mi dicevano: arriva Monti»

Le rivelazioni di Timothy Geithner sul complotto europeo del 2011 contro il suo governo lo rendono felice. Parla con ammirazione e gratitudine di Barack Obama e racconta con piacere come il presidente americano gli abbia dato ragione al vertice del G20 nel novembre 2011. Ma quando nomina Matteo Renzi, di quanto è deluso dal modo in cui ha proseguito con la riforma elettorale e del Senato dopo l’accordo del Nazareno, il suo sguardo cambia e fa capire che non ci saranno più sconti. Per Beppe Grillo c’è solo disprezzo. Diventa militante e deciso quando lamenta i vincoli europei come il Fiscal Compact o la fatidica soglia del 3 per cento nel rapporto deficit-Pil, per cui chiede quantomeno una moratoria. E sull’arresto di Claudio Scajola nota in modo laconico che «lui era da tempo lontano dal nostro movimento».

Silvio Berlusconi, seduto nel giardino della sua Villa San Martino ad Arcore, è in forma. Le rivelazioni dell’ex ministro del Tesoro americano sembrano avergli donato nuova linfa. Dice che le anticipazioni del libro di memorie di Geithner confermano quello che sapeva da tempo, e cioè, che la Casa Bianca bocciò una richiesta da parte di alcuni europei di far cadere il suo governo nell’autunno del 2011.

«Non sono sorpreso. Nel 2011 nei miei confronti e dell’Italia, ci fu un movimento partito nel nostro Paese ma che poi si è esteso anche all’estero per tentare di sostituire il mio governo, eletto dai cittadini, con un altro esecutivo» dice.

«Già nel giugno del 2011, quando ancora non era scoppiato l’imbroglio degli spread, il presidente della Repubblica Napolitano riceveva Monti e Passera per scegliere i tecnici di un potenziale esecutivo e addirittura stilare il documento programmatico. Abbiamo saputo poi che ci sono state quattro successive tappe di scrittura, l’ultima addirittura di 196 pagine».

I ricordi si fanno precisi: «Io avevo la contezza che stesse accadendo qualcosa e avevo anche ad un certo punto ritenuto che ci fosse una precisa regia. Al G20 di Cannes, addirittura, amici e colleghi di altri Paesi mi dissero: “Ma hai deciso di dare le dimissioni? Perché sappiamo che tra una settimana ci sarà il governo Monti”».

Il leader di Forza Italia non è sorpreso che queste nuove rivelazioni vengano da un uomo di Obama.
«Il presidente americano si comportò bene durante tutto il G20. Noi fummo chiamati dalla Merkel e Sarkozy a due riunioni in due giorni consecutivi e in queste riunioni si tentò di farmi accettare un intervento dal Fondo monetario internazionale (Fmi). Io garantii che i nostri conti erano in ordine e non avevamo nessun bisogno di aiuti dall’esterno e mi rifiutai di accedere a questa offerta, che avrebbe significato colonizzare l’Italia come accaduto alla Grecia. E cioè con la Troika, composta da un inviato della Banca centrale europea, dalla Commissione europea e dall’Fmi, che avrebbero trasformato l’Italia in un paese a sovranità limitata».

L’ex premier commenta anche le parole del presidente Obama, che secondo il Financial Times, durante il vertice del G20 a Cannes all’inizio di novembre 2011, avrebbe detto «I think Silvio is right», e cioè che Berlusconi avesse ragione a rifiutare l’offerta di un salvataggio di 80 miliardi di dollari dall’Fmi e la Ue.
«Credo anche che il presidente Obama stesse dalla mia parte quando insistevo per degli aiuti molto più solleciti alla Grecia riflettendo su quella politica di austerità che stava per essere ordinata a tutti i Paesi e sulla quale non ero assolutamente d’accordo».

E c’è una morale della favola in tutto questo per l’Italia e l’Europa di oggi? Berlusconi fa un spot elettorale. «Oggi io credo che per come è la situazione in Italia non c’è che una possibilità di ottenere una difesa degli interessi dell’Italia in Europa, e questa possibilità si chiama Forza Italia».

Ma al di là di questa retorica, perché non votare per gli altri?
Berlusconi va all’attacco. «Grillo urla, sbraita, strepita. Non è assolutamente preso sul serio in Europa. Anzi lo guarderanno con un certo senso di timore e non inciderà su nessuna decisione. I piccoli partiti non contano. Il voto al Pd significa che se vincono diventa il Presidente della Commissione europea un certo signore che si chiama Schulz, che non ama l’Italia».
Su Matteo Renzi e le riforme Berlusconi ri- mane calmo ma si dice «molto deluso» dal modo in cui il premier ha proseguito con le riforme concordate nell’accordo del Nazareno. Ma Renzi ce la farà a fare le riforme senza i voti di Forza Italia? «Non credo proprio».

Quindi è saltato l’accordo del Nazareno?
«L’intesa era di fare le riforme assieme. Adesso visto come è stata approcciata il primo passo siamo molto scettici su questa possibilità di lavorare insieme. Decideremo di volta in volta. Prenda il Senato, stanno facendo sì che diventi un dopo lavoro di sindaci rossi in gita turistica a Roma. E sull’Italicum per noi il ballottaggio è solo un danno: i voti dei 5 Stelle andrebbero al Pd».

Il cambio del tono di Berlusconi è notevole ora.
«Sulla legge elettorale noi siamo fortemente perplessi, e vedendo come le cose si sono mosse per quanto riguarda il Senato, e vedendo cosa è successo con la marcia indietro del governo sulla legge elettorale, ci siamo domandando se siamo stati troppo responsabili, o troppo generosi. Forse vale la pena di dire al signor Renzi: “Le riforme, vediamo se sei capace di farle! Fattele tu”. Noi ci staremo soltanto quando saranno ritenute da noi delle buone riforme».

Oramai Berlusconi sta alzando la voce. «Forza Italia non parteciperà al cammino di formazione delle riforme. Giudicherà quando il testo delle riforme arriverà in Parlamento, al momento del voto, se queste riforme saranno buone per l’Italia e gli italiani, in quel caso le voteremo, come faremo con tutte le altre leggi di questo governo, di cui siamo decisamente all’opposizione. Renzi, con tutti questi motivi di novità, è invece nelle mani della vecchia sinistra che è ancora potente e importante all’interno del suo partito».

Berlusconi è ancora più netto quando lo si interpella sui vincoli europei, il Fiscal Compact e il rapporto deficit-Pil del 3 per cento. «In un momento in cui non tira l’economia ci vorrebbe, se non la cancellazione, almeno una moratoria su entrambi questi parametri e probabilmente, se l’economia non si riprende, sarebbe opportuno fare una croce sia sul 3 per cento sia sul Fiscal Compact». E alla Bce chiede una svalutazione competitiva dell’euro e la ga- ranzia del debito dei Paesi aderenti alla moneta unica.

Pubblicato sul Corriere della Sera del 14 maggio 2014

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