26 febbraio 2019 – Tra poco più di un mese, il 29 marzo, il Regno Unito dovrebbe uscire dall’Unione europea, come deciso dalla maggioranza dei cittadini nel 2016.
Tuttavia, ad oggi, le certezze sono ben poche.
La premier Theresa May ha aperto a un rinvio: nel suo discorso di martedì alla Camera dei Comuni – venendo incontro alle pressanti richieste dell’ala più moderata del suo partito che teme le nefaste conseguenze di un’uscita senza accordo con l’Ue – ha annunciato un programma in tre fasi.
Il primo appuntamento è il 12 marzo, quando alla Camera dei Comuni verrà messo nuovamente ai voti l’accordo con Bruxelles, già rigettato con 230 voti di scarto lo scorso 15 gennaio. Poche le modifiche ottenute dalla premier conservatrice – l’Ue aveva già messo in chiaro che mai avrebbe acconsentito a revisioni sostanziali -, di conseguenza è altamente improbabile che il Parlamento si pronunci oggi in favore dell’intesa. Se, miracolosamente, la Camera dei Comuni desse il via libera al documento negoziato da May, il Regno Unito uscirebbe dall’Unione europea il 29 marzo, in modo ordinato e regolato.
Nel caso in cui, come tutti si aspettano, i membri del Parlamento si dichiarassero ancora una volta contrari a quella proposta di divorzio concordato, May ha previsto un secondo voto il 13 marzo, per chiedere al Parlamento l’opportunità di uscire dall’Ue senza alcun accordo, il famigerato no-deal, che oggi spaventa a morte anche gli spavaldi della prima ora. Anche il risultato di questo questo voto appare quindi prevedibile.
Si arriva così al 14 marzo, giorno in cui verrà messa ai voti la proposta di estendere l’articolo 50, ovvero di posticipare la procedura di uscita dalla Ue. «Se la Camera respinge l’accordo e respinge l’uscita no deal – ha affermato May – il governo presenterà il 14 marzo una mozione per chiedere al parlamento se vuole una estensione breve e limitata dell’articolo 50». Se il Parlamento si pronuncerà a favore dell’estensione, May dovrà quindi negoziare con Bruxelles un rinvio che permetta di raggiungere un nuovo accordo più favorevole (cosa che, ricordiamolo, l’Europa non ha intenzione di concedere). Un altro problema rappresentato dalla vicinanza con le elezioni europee, che si terranno il 26 maggio. «Un’estensione oltre giugno – ha sottolineato May – significherebbe per il Regno Unito dover partecipare alle europee. Che messaggio daremmo ai 17 milioni di cittadini che hanno votato per lasciare la Ue?». Una matassa che appare sempre più difficile da sbrogliare, e in tanti, nel partito conservatore, temono che un rinvio possa significare la fine della Brexit, ovvero una marcia indietro.
Intanto, il leader dell’opposizione laburista, Jeremy Corbyn, si dice ora convinto della necessità di un nuovo referendum, «un voto pubblico confermativo sulla Brexit che il governo porterà a casa». Theresa May, ha affermato Corbyn, «sta sconsideratamente temporeggiando» nel tentativo di «forzare i membri del parlamento a scegliere tra il suo accordo raffazzonato e un disastroso no deal».
Photo credits: EPA