Vorrei condividere con voi questa bella recensione di “Ammazziamo il Gattopardo”, firmata da Gennaro Sangiuliano e pubblicata questa mattina dalla Domenica del Sole, l’inserto culturale del Sole 24 Ore. Buona lettura!
23 marzo 2014 – Il Principe Fabrizio di Salina, essenza figurata e protagonista del grande romanzo di Tomasi di Lampedusa, sintetizza mirabilmente cosa sia il gattopardismo. Ad alcuni ufficiali della marina inglese che gli avevano domandato che cosa fossero venuti a fare veramente in Sicilia i volontari garibaldini rispose: «They are coming to teach us good manners, but won’t succeed, because we are gods». In altre parole argomentò che i Siciliani (e dunque se stesso): «Non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che si credono perfetti».
Il Principe di Salina ci dimostra come il gattopardismo non sia una condizione individuale, bensì una categoria universale che si ripropone sul palcoscenico della storia. L’Italia di oggi non è al centro di una tradizionale crisi economica, legata all’alternarsi dei cicli, ma attraversa una stagione di profonda decadenza che rischia di compromettere quei livelli di benessere conseguiti dalle generazioni del dopoguerra. In tempi brevi verificheremo se continueremo ad appartenere al club degli Stati avanzati oppure scivoleremo verso una posizione più arretrata.
Il Gattopardo, che dalla Sicilia è dilagato in tutta la Penisola, assumendo quasi i tratti di una condizione antropologica degli italiani, appare essere la “weltanschauung” della classe dirigente, un atteggiamento che si sintetizza nel rinvio, nella sterile verbosità, nell’incapacità decennale di aggredire i problemi. Ecco perché appare decisivo uccidere il Gattopardo nelle sue molteplici facce e articolazioni tentacolari che tengono in scacco la vicenda pubblica. «L’Italia potrà cambiare solo se abbandona la vecchia mentalità del Gattopardo», scrive Alan Friedman, che ha scelto di titolare il suo ultimo libro proprio con un netto Ammazziamo il Gattopardo (Rizzoli, pagg. 300, € 18,00), un viaggio attraverso le ultime vicende politiche, sociali ed economiche italiane.
Nell’editoriale che dette inizio alla prolifica esperienza della rivista «La Voce», poco più di cento anni fa, Giuseppe Prezzolini scriveva: «…Crediamo che l’Italia abbia più bisogno di carattere, di sincerità, di apertezza, di serietà, che di intelligenza e di spirito. Non è il cervello che manca, ma si pecca perché lo si adopera per fini frivoli, volgari e bassi: per amore della notorietà e non della gloria, per il tormento del guadagno o del lusso e non dell’esistenza, per la frode voluttuosa e non per nutrire la mente». Allora, per i giovani idealisti delle avanguardie fiorentine il Gattopardo era Giolitti (anche se poi Prezzolini ne riconoscerà il valore definendolo la “prosa” della politica) perché accusato di essere il garante di equilibri anacronistici rispetto alla società di massa che premeva alle porte. Giovanni Amendola coniò per «La Voce» il motto: «L’Italia come è oggi non ci piace».
Dopo un secolo sembra di essere tornati ai blocchi di partenza, con nuovi gattopardi. «Come siamo arrivati a questo punto?», si domanda Friedman, «Perché i nostri governanti, non solo nella politica ma nella classe dirigente in generale, non sono riusciti a cambiare e rifare il Paese?». L’autore prova a ricostruire con le suggestioni dei retroscena le vicende che si sono sviluppate dagli ultimi mesi del governo Berlusconi fino a oggi. L’elemento dinamico del libro sono le conversazioni con cinque ex presidenti del Consiglio (Giuliano Amato, Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Massimo D’Alema, Mario Monti) e con l’attuale premier Matteo Renzi. La decadenza italiana viene da lontano, perché – come ricorda Friedman – nel corso degli anni Ottanta il debito pubblico cominciò a correre incontrollato ponendo un’ipoteca sul futuro. E forse ancor prima, quando con l’invenzione delle Regioni si crearono mostri di spesa e burocrazia. Se si esclude l’epoca d’oro degli anni Cinquanta e Sessanta la storia della Repubblica è segnata da compromessi e rinvii. L’impianto fiscale è quello tracciato dal quarto governo Rumor nel quadro della grande riforma ispirata da Bruno Visentini, fu un’innovazione e anche una semplificazione allora, oggi, però, appartiene a strutture “vecchie” e “datate”.
Friedman non resta nella genericità ma divide la classe dirigente italiana in gattopardi, mezzi gattopardi e coloro che non lo sono facendo spesso nome e cognome.
Tuttavia, oltre fatti e loro protagonisti conta una mentalità diffusa. I mali che conosciamo e che enunciamo quasi ogni giorno, burocrazia, pressione fiscale, mancanza di meritocrazia, deficit di mercato, scarso riconoscimento del valore dell’impresa, hanno tutti una origine di tipo culturale, un sedimento che certe egemonie hanno prodotto. Il tema del gattopardismo è una costante del potere, Ortega y Gasset ammonisce che le trasformazioni storiche dipendono dalla «sensibilità vitale delle generazioni» che non è un dato anagrafico ma eminentemente culturale.
«La domanda chiave: ce la farà l’Italia?», scrive l’autore, ripetendo un quesito che quotidianamente condisce sia chiacchiere da bar, sia dotte relazioni economiche. Su un punto si deve essere d’accordo con Friedman: «Il tempo del rinvio è scaduto. No more tempi supplementari».