14 ottobre 2013 – Dal 2000 ad oggi Alitalia ha accumulato un risultato netto e molto rosso di quasi sei miliardi di euro. È andata male per i capitani poco coraggiosi come Roberto Colaninno e la famiglia Benetton, e anche per qualche capitano che si trova oggi in galera, come Salvatore Ligresti.
È vero che c’è stato un periodo difficile di recessione. Ma c’è stata anche la gestione di Rocco Sabelli, l’amministratore delegato messo in Alitalia da Colaninno che tra il 2008 e febbraio 2013 non ha potuto o non ha saputo rilanciare la compagnia aerea privatizzata e consegnata nelle mani del suo boss.
Oggi Alitalia è diventata veramente la Grecia delle ex-aziende di Stato, peggio pure di Telecom, altra iniziativa famosa di Colaninno. L’idea che le Ferrovie dello Stato o le Poste debbano investire loro capitali per salvare questa povera società sull’orlo del fallimento mi sembra del tutto sbagliata.
È stato suggerito da un ministro di nome Lupi che ci sarebbe qualche sinergia industriale tra le Poste e Alitalia. Nella migliore delle ipotesi questa è una forzatura. Poi il governo e le Poste hanno dovuto rispondere ai critici assicurando che i soldi dei correntisti delle Poste non saranno usati per salvare Alitalia. Forget Lupi.
Sono d’accordo con il Financial Times: «La logica industriale che sta dietro a questo matrimonio è incomprensibile. Non c’è nessuna sinergia evidente tra una linea aerea e un servizio postale. Poiché Poste Italiane è di proprietà del governo, il piano puzza di aiuto di Stato».
Il presidente del Consiglio si è detto soddisfatto per l’ok all’aumento di capitale da parte di Air France. Ma secondo me Air France vuol solo vedere se riuscirà a prendere il controllo dell’Alitalia per due lire, continuando la tradizione dell’operazione Fenice del 2008. E dubito che alla fine Air France si impegnerà in Alitalia a meno che non si accetti di azzerare o quasi Fiumicino, convertendolo in un hub regionale dello Charles De Gaulle.
Air France non è il partner giusto per due motivi: il primo è che prenderebbe il controllo di Alitalia per pochi spiccioli. Il secondo è che le altre linee europee, quando fanno acquisizioni tra di loro, tendono a cannibalizzare un mercato limitato, quindi non offrono strategie di apertura e crescita ma una politica di tagli, riduzione di servizi e qualità che non giova agli interessi dei consumatori.
Per questo credo che Matteo Renzi abbia ragione quando dice che «lo Stato non deve mettere un centesimo per salvare gli azionisti privati che hanno fallito». E che un partner asiatico o medio-orientale sarebbe meglio di Air France.
E credo abbia ragione anche Romano Prodi, che sul Messaggero l’altro giorno ha messo in guardia dal matrimonio con Air France. Prodi cita il caso di una trattativa con Air China per sottolineare i vantaggi, per Alitalia e per l’Italia, che deriverebbero dall’avere un partner che guardi a Roma come a una «una porta d’ingresso in Europa».
Era la Commissione europea di Prodi a spiegare nel 2001 come stava cambiando il mercato dei cieli in Europa. L’occasione fu la bancarotta della linea belga Sabena: all’epoca la Commissione disse che «una compagnia aerea inefficiente non può più sopravvivere grazie ai governi che coprono le perdite con i soldi dei contribuenti».
Quello fu il caso Sabena. Poi un anno dopo, nel 2002, c’è stato il caso della Swissair. Qui la soluzione è stata più logica: è arrivata la Lufthansa, ha tagliato un terzo delle tratte, ha mandato a casa un gran numero di lavoratori e ha chiuso tutti gli hub in Svizzera salvo Zurigo.
Nel caso di Alitalia, non ha molto senso che in un momento di difficoltà per i conti pubblici si sprechino 75 milioni di euro di capitale delle Poste, sperando che se tutto andrà bene arriverà la stessa somma da Air France, che finirà col controllo della compagnia. E in tutto questo Colaninno e i Benetton dovrebbero rischiare al massimo qualche decina di milioni.
Con quale strategia di lungo termine?
Il mio consiglio: chiediamo ai privati o anche alle banche di finanziare il minimo necessario per prolungare la vita di Alitalia di uno o due mesi e mettiamoci a parlare subito con la Corea del Sud, con la Cina, con il Giappone, con la Tailandia, con Singapore, con l’India, con Dubai, Abu Dhabi o col Qatar. Troviamo per Alitalia una ricca società in crescita che possa usare Roma come un hub europeo, una porta d’ingresso. Anche allo stesso prezzo che pagherebbe Air France.
Cerchiamo un partner che provenga dai Paesi dei nuovi ricchi, che saranno ben contenti di ripensare Alitalia come elemento chiave di un gruppo internazionale, e non solo europeo. Diamoci una chance.
Le Poste e Air France? No grazie. Non mi sembra una strategia vincente.