7 ottobre 2013 – Ho deciso di non commentare la politica di palazzo e di partito in questo articolo. O di commentarla poco. Mi interessa invece la legge di stabilità. E sto seguendo l’Italia con un occhio alle sorti del mio Paese, gli Stati Uniti d’America, dove la guerra tra i falchi del Tea Party e le colombe del Partito repubblicano, sul budget e sul tetto del debito, rappresenta un rischio per tutto il mondo.
Sulla situazione a Washington, diversi miei amici nell’amministrazione Obama e a Capitol Hill dicono di essere tranquilli, che si troverà un accordo prima del 17 ottobre, data entro la quale bisognerà alzare il tetto dell’indebitamento o smettere di pagare i conti. Ma a Washington l’instabilità politica ha un costo maggiore di quella a Roma.
Tornando nel Bel Paese, non commento le parole di Enrico Letta – intervistato in tv domenica – sulla fine del ventennio di Silvio Berlusconi. E nemmeno quelle di Angelino Alfano o di altri del Pdl. No comment sull’assestamento delle polveri ancora in corso dopo i drammatici eventi della settimana scorsa, dopo il voto di fiducia. C’è un governo. Bisogna governare.
Gli italiani si aspettano dall’esecutivo una risposta sull’economia, su punti come Iva, Imu e Service Tax ma anche sulla questione più grande della riduzione del costo del lavoro.
Ora per i cittadini è importante che il governo Letta-Alfano presenti una legge di stabilità degna di questo nome, una legge che in primo luogo intervenga sul cuneo fiscale con un taglio davvero incisivo, e non cercando semplicemente di offrire un pochettino di più nella busta paga dei lavoratori e un pochettino di più agli imprenditori. Non è il momento dei piccoli passi. Il rischio è che gli imprenditori non usino il denaro fresco derivato dal taglio del costo del lavoro per assumere dipendenti ma piuttosto per pagare i loro debiti e scoperti in banca.
Nella lotta contro la piaga della disoccupazione giovanile confido in una serie di iniziative che vadano ben oltre le misure di lieve entità intraprese finora, che andavano sì nella giusta direzione ma sono state comunque modeste. Mi riferisco agli incentivi per assumere e sull’apprendistato, che usano un mix di fondi europei e fondi dal bilancio dello Stato. Si tratta soltanto di un inizio, un antipasto, voglio sperare.
Per intenderci, un’operazione sul cuneo fiscale di 5 o 6 miliardi, secondo me, sarebbe ancora troppo poco per essere davvero incisiva. E comunque sia, è importante che la manovra venga finanziata da tagli alla spesa pubblica e non ricorrendo a nuove tasse o ad anticipazioni e acconti sull’Ires e l’Irap o aumentando le accise sulla benzina.
Tuttavia, non credo che la riduzione del costo del lavoro da sola sia uno stimolo sufficiente per generare occupazione, e non credo che un tasso di crescita a fine anno dello zero-virgola-qualcosa percento o anche dell’uno percento nel 2014 basti per creare nuovi impieghi.
Secondo me, il tasso di disoccupazione in Italia è destinato a salire ancora nei prossimi mesi. Certo, è chiaro che un taglio del cuneo fiscale abbinato a una ripresa, anche se debole, contribuirà a creare più fiducia. Ma ci vorrà ben altro per incidere veramente su quell’impressionante 40% cui è arrivato il livello della disoccupazione giovanile. Una riduzione del costo del lavoro e una ripresa dell’uno percento nel 2014 da soli non basteranno.
La legge di stabilità che aspettiamo per metà ottobre dovrà quindi essere molto seria. Sapremo quanto e se lo sarà dopo gli incontri in corso in questi giorni tra Palazzo Chigi, i sindacati e gli imprenditori. Se, come mi auguro, sarà una legge importante, sarà quasi d’obbligo che qualcuno uscirà scontento dalle riunioni tra le parti sociali. Non si può accontentare tutti questa volta.