L'ICONOCLASTA

Da Ammazziamo il Gattopardo – Tagli alle pensioni retributive e incentivi ai fondi privati: elementi della ricetta per il sistema previdenziale

In questi giorni si torna a parlare molto di pensioni, sia riguardo a nuovi aggiustamenti in arrivo, in particolare sulla flessibilità in uscita, sia per la volontà del presidente dell’Inps Tito Boeri di garantire a tutti i cittadini l’invio per posta della cosiddetta “busta arancione”, che contiene i prospetti di simulazione della pensione futura. Una mossa che, nelle intenzioni di Boeri, aiuterà i contribuenti a prendere consapevolezza del proprio futuro previdenziale.

Un futuro che, aggiungo io, potrebbe essere molto meno roseo di quanto previsto. Nel 2014, con Ammazziamo il Gattopardo, proponevo nella mia ricetta alcune proposte relative alle pensioni, affrontando anche il tema dei fondi privati. Ripropongo un brano tratto dal capitolo 9, La Ricetta.

20 gennaio 2016 – (…) Con la riforma Fornero, diciamo che il grosso è stato fatto, abbiamo una vera riforma delle pensioni, ma ci vorrebbe qualche aggiustamento ancora, soprattutto in un momento di crisi e in cui siamo consapevoli che il sistema avrà bisogno di ritocchi per gestire la parte non coperta dai versamenti, quella calcolata con il vecchio sistema retributivo che ha tradizionalmente consentito trattamenti insostenibili. (…) Bisogna riordinare meglio il sistema e i costi delle pensioni d’oro e d’argento e soprattutto la parte non coperta, la vecchia parte retributiva.

La premessa della mia ricetta sulle pensioni è che non si tocca chi vive con meno di 1000 euro al mese di pensione. (…) Oggi ci sono circa 16 milioni e mezzo di pensionati in Italia, e 23,4 milioni di assegni pensionistici. Anche dopo la riforma Fornero però nessuno potrebbe dire che i giovani di oggi si sentano tranquilli sulla loro futura pensione. È necessario essere realisti e anche cambiare testa, e riconoscere che qualche innovazione nel sistema pensionistico sarebbe utile, soprattutto perché c’è troppa iniquità in quello odierno. E che qualche sacrificio, ancora in uno spirito comunitario, potrebbe aiutare.

(…) Su un costo totale di circa 260 miliardi all’anno per le pensioni in Italia, il 25 per cento circa non è coperto da contributi. Di questi, secondo Tito Boeri, circa 15 miliardi sono costituiti da pensioni sopra la soglia di 3000 euro mensili. Sono regali dello Stato. Al fine di ottenere una maggiore equità si potrebbero tagliare queste pensioni del 15 per cento, arrivando a un risparmio di 2,25 miliardi l’anno.

«Un prelievo circoscritto a quanto avuto in più rispetto ai contributi versati» nota Boeri «darebbe un messaggio forte e chiaro ai lavoratori, quelli che pagano le pensioni agli attuali pensionati: se i vostri accantonamenti previdenziali vi danno diritto a prestazioni calcolate con il metodo contributivo (ciò che ormai vale per tutti i lavoratori in Italia), non avrete nulla da temere, le vostre prestazioni future non verranno mai toccate dal consolidamento fiscale.»

Io sono d’accordo e ritengo che l’Italia non avrà scelta e dovrà affrontare questo problema, prima o poi. Quindi sarebbe meglio tagliare la testa al toro e accettare un taglio del 15 per cento per chi ha più di 3000 euro mensili. Va fatto non tanto perché permetterebbe all’Inps di risparmiare poco più di 2 miliardi all’anno, ma soprattutto con l’obiettivo di rendere il sistema pensionistico meno iniquo già da subito e non in futuro, quando tutte le pensioni saranno calcolate integralmente con il metodo contributivo.

Assumiamoci le nostre responsabilità. Smettiamo di rinviare i nostri problemi sempre alla prossima generazione. A un certo punto bisogna riconoscere che la musica è finita. Ecco perché la mia ricetta richiede un ritocco alle pensioni di anzianità in questo senso.

Ricapitolando: ci vogliono alcuni sacrifici da parte dei pensionati più abbienti. E sì, mi rendo conto che un taglio del 15 per cento delle pensioni non coperte dal sistema contributivo può sembrare ingiusto o pesante. Però a mio avviso sarebbe molto meno ingiusto di un sistema che non è sostenibile e che rischia di derubare chi fa i versamenti nel sistema contributivo per pagare chi ha una pensione non coperta da contributi, e riceve un regalo dallo Stato.

Al di là di questa aritmetica, c’è un cambiamento più profondo da attuare. A mio avviso dobbiamo renderci conto che per affrontare il domani dobbiamo anche cambiare mentalità. L’idea che la pensione debba venire solo dallo Stato è sbagliata. Un liberale come Milton Friedman (nessuna parentela con l’autore di questo libro, N.d.A.) ha sentenziato che there is no free lunch, non c’è un pasto gratis nella vita. Ma io direi che in un sistema misto come l’Italia, che deve rispettare ancora alcuni impor- tanti principi di un’economia di tradizione europea dal punto di vista sociale, there is no fully free lunch, e cioè non c’è un pasto del tutto gratis.

E se ognuno di noi potesse configurare la sua pensione, con una piccola riforma che ci costa poco? Ecco l’altra metà della mia ricetta sulle pensioni. Potremmo avere, come in America, Gran Bretagna, Danimarca o Olanda, più mercato, più scelta, più concorrenza tra fondi privati e più alternative per il consumatore del sistema pensionistico di domani, che è il lavoratore di oggi. Ci vuole l’alternativa dei fondi privati. Secondo me lo Stato non reggerà facilmente il cambiamento demografico del Paese nel lungo termine. Potrebbe, ma sarà molto più costoso per un’Italia sempre meno giovane. Meglio, quindi, a mio avviso, incoraggiare l’integrazione di fondi privati con la pensione dello Stato, e cominciare a configurare un sistema misto, in cui i fondi privati arrivino a offrire almeno il 50 per cento della nostra pensione, diciamo dopo il 2020, perché avremo saputo introdurre una option, un’alternativa, un semplice bottone da premere per il lavoratore che, se lo desidera, può indirizzare una parte del suo contributo previdenziale verso un fondo privato da scegliere liberamente, riducendo il costo a lungo termine per l’Inps e dando incentivi fiscali ai lavoratori che si avvalgo- no dei fondi pensione privati.

Questo sistema di opting-out potrebbe aiutare lo Stato ma anche il lavoratore. Il costo del contributo previdenziale al 33 per cento nella busta paga è troppo alto e non consente neanche l’opting-out al lavoratore che vuol dedicare una parte del suo contributo a un fondo privato. Con qualche aggiustamento di questo meccanismo, e forse qualche cambiamento delle regole sul Tfr, insieme all’aggiunta di sgravi fiscali per l’utilizzo di fondi privati, si potrebbe fare un bel pezzo di strada.

Ma ci rendiamo conto di quanto costa questo contributo previdenziale? Un contributo del 33 per cento? Negli Usa è il 12, nel Regno Unito è il 14, in Francia è il 16, in Germania il 19. La media Ocse è del 19,6 per cento. Un americano va in pensione con il 56 per cento dello stipendio precedente per le fasce più basse (20.000 dollari di stipendio), il 42 per cento per il ceto medio e il 25 per cento per la fascia alta. Il resto è coperto da fondi privati. In America, come nel Regno Unito ma anche in Olanda e Danimarca, più di un terzo delle prestazioni erogate ai pensionati viene dal regime pensionistico privato. In Italia, che ha la spesa pubblica pensionistica più alta di tutti e 34 i Paesi Ocse, la percentuale proveniente dal privato è irrisoria: intorno al 2 per cento.`

La soluzione non è soltanto tagliare la spesa pubblica per permetterci di ridurre il costo del lavoro, come ha detto con tutta la buona volontà Enrico Letta a fine 2013, ma anche stimolare alla grande i fondi privati e cambiare mentalità sulle pensioni.
Invece di dire: «Ma io non avrò mai una pensione!», bisogna dire: «Ma io posso mettere da parte con un fondo pensione privato quello che lo Stato non mi darà».

Nella mia ricetta lo Stato consentirebbe un opting-out in cui una parte del mio contributo (che deciderò io) sarà indirizzata a mia discrezione a fondi privati. Con l’introduzione di fondi privati avremo sgravi fiscali che ci permetteranno, assieme alle imprese, di versare una parte dei contributi ai fondi privati stessi. (…) Oggi in Italia ci sono 6 milioni di aderenti a fondi pensione complementari. Di questi, più di 4 milioni sono lavoratori dipendenti del settore privato.

Circa 1,9 milioni di lavoratori aderiscono a un Piano individuale pensionistico e, di questi, ben 1,2 milioni sono lavoratori dipendenti: c’è evidentemente una forte domanda di previdenza privata che non viene soddisfatta da un’offerta di carattere collettivo come i fondi chiusi.

Ma l’opting-out cambierebbe molto le cose, perché si potrebbe varare una riforma che permetta di stanziare fino a 6 punti di contributo previdenziale pagato dalle imprese ai fondi privati e individuali, garantendo anche la massima libertà di scelta e disponibilità per i lavoratori di ogni tipo. Si potrebbero creare nuovi incentivi fiscali sia per le imprese sia per il contribuente con lo sviluppo di un vero mercato per i fondi privati.

E con l’opting-out ci sarebbe anche un cambiamento di cultura, perché una volta che il mercato diventasse più grande e si arrivasse a una massa critica ci sarebbe non solo più trasparenza ma anche più regulation dei fondi privati. Ci vorrebbero anche delle regole che garantiscano una reale tutela ai cittadini. Fatto questo, a beneficio di tutti e a danno di nessuno, si potrebbe mirare a un sistema veramente 50-50 in cui in futuro anche lavoratori a progetto, part-time e a tempo determinato possano usufruire di un sistema di opting-out e contributi pri- vati. Alla fine, oggi i lavoratori giovani dovrebbero essere mol- to motivati nel cominciare una strategia personale di 50-50, dando per scontato che quando arriveranno al pensionamento lo Stato offrirà loro al meglio il 50 per cento della media del loro stipendio negli ultimi 35 o 40 anni di lavoro. L’altro 50 per cento si potrebbe ricavare dai contributi a fondi pensione privati. La tutela migliorerà e lo Stato sarà meno sotto pressio- ne. Funziona.

Se questa ricetta fosse adottata, tra circa dieci anni l’Italia avrebbe un sistema molto più equo e sicuramente più capace di garantire pensioni dignitose anche per i giovani di oggi, a patto che cambino mentalità e si aprano all’idea del 50-50, di un mix futuro fra pensioni dell’Inps e pensioni private complementari.

La ricetta per le ulteriori riforme del sistema pensionistico non è una riforma che riduce i costi in modo decisivo: nel breve periodo, poco più di 2 miliardi l’anno su una spesa complessiva di 260 miliardi. Ma l’apertura a gestori privati del mercato delle pensioni sarebbe una soluzione a basso costo e alta resa per l’Italia. E un intervento sulla parte del sistema vecchio e non coperto è di rigore. Entrambe le strade vanno assolutamente incoraggiate.

Da Ammazziamo il Gattopardo (Rizzoli 2014), capitolo 9, La Ricetta.

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