L'ICONOCLASTA

Draghi lancia un messaggio a Tsipras da Montecitorio: «L’Ue non è stata creata come un’area in cui ci sono creditori e debitori permanenti». E sull’Italia: «La crescita era già smorzata prima dell’ingresso nell’euro»

26 marzo 2015 – «Le regole di bilancio nell’eurozona sono state disattese più volte sottoponendo la fiducia reciproca a forte tensione». L’ha ricordato il presidente della Bce, Mario Draghi, in audizione alla Camera dei Deputati per la prima volta da quando è stato nominato ai vertici dell’istituto di Francoforte. In un momento difficile per la zona euro, con la crisi del debito greco ancora irrisolta e le frizioni tra il governo di sinistra guidato dall’ellenico Alexis Tsipras e i suoi partner europei, prima tra tutti la Germania, primo creditore di Atene, Draghi ha voluto sottolineare come l’Ue non sia stata creata come «un’area in cui ci sono creditori e debitori permanenti». Chi vuole intendere, intenda.

«Le azioni di politica monetaria della Bce – ha spiegato – stanno funzionando nel rafforzare i segnali di una ripresa ciclica e non strutturale». Per risolvere le disuguaglianze tra i diversi paesi dell’eurozona, ha quindi ammonito Draghi, gli sforzi della Bce non possono bastare: bisogna continuare sulla strada delle riforme strutturali, le sole in grado di alzare il potenziale di sviluppo del continente.

Di fronte alle commissioni Bilancio, Finanze e Politiche Ue di Camera e Senato, Draghi si è tuttavia lasciato andare a un cauto ottimismo: «Le prospettive di crescita sono in questo momento più favorevoli che negli ultimi anni», ha spiegato, aggiungendo poi che ci sono segnali che mostrano come «la ripresa debole e disomogenea acquisti forza e stabilità». «Tra i principali motivi – ha aggiunto il presidente della Bce – ci sono gli effetti positivi del crollo dei prezzi dei prodotti energetici, la politica monetaria espansiva e le riforme strutturali varate in diversi paesi dell’area che cominciano a fare sentire i propri effetti». Draghi ha poi sottolineato come anche l’inflazione tornerà «a valori prossimi al 2%».

Con l’acquisto di titoli pubblici attraverso il programma di Quantitative Easing della Bce, partito il 9 marzo, la Bce ha creato «un clima che favorisce le riforme strutturali, difficili da attuare in una congiuntura negativa». In altre parole: senza riforme non c’è Quantitative Easing che tenga. Draghi si è comunque mostrato fiducioso, precisando di avere un parere «esattamente opposto» rispetto a quanti lamentano che il programma di acquisti potrebbe disincentivare i paesi a varare i necessari cambiamenti.

«Io personalmente penso che trincerarsi nuovamente dentro i confini nazionali non risolverebbe i problemi», ha quindi notato Draghi dando una stoccata a chi invoca la disgregazione delle istituzioni comunitarie. Secondo il presidente, i problemi di «bassa demografia e del debito alto» non scomparirebbero di certo, mentre «la disoccupazione finirebbe per aumentare».

E proprio il debito, come ha ricordato il numero uno della Bce, è uno dei problemi che maggiormente affligge il Belpaese. Draghi ha poi voluto rispondere ai nostalgici della lira, ricordando come l’economia europea fosse in sofferenza al momento dell’entrata in vigore della moneta unica: «In vari paesi dell’Eurozona la crescita potenziale si è smorzata già prima dell’introduzione dell’euro». Ad esempio in Italia, dove dal 2,5% dell’inizio degli anni Novanta si è passati all’1,5% del 1999 fino a fermarsi del tutto. «Lo spread di 500 punti base pagato dall’Italia rispetto ai Bund nei momenti peggiori della crisi del 2011 e 2012 – ha poi sottolineato – era esattamente quello che gli italiani hanno pagato per 15 anni in media prima dell’introduzione dell’euro».

Il calo dei tassi d’interesse a lungo termine e il deprezzamento dell’euro, conseguenza del Qe, ha annunciato Draghi, dovrebbero spingere la crescita italiana «di un punto percentuale entro il 2016». Ma è chiaro che non potrà bastare a risollevare l’economia di un paese piegato da anni di recessione e crescita zero.

«In Italia vi è un’alta concentrazione di micro-imprese a produttività inferiore alla media, con una regolamentazione che le incentiva a rimanere piccole», ha puntato il dito Draghi: «In media in Italia una causa richiede 5 anni, a fronte di 1 anno in Germania, Francia e Spagna. Esistono studi secondo cui il dimezzamento della lunghezza dei processi farebbe crescere le imprese tra l’8 e il 12 per cento». Tradotto: l’Italia ha bisogno di riforme, riforme e riforme.

Luna De Bartolo

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