Per lottare contro la deflazione bisogna spezzare le catene che costringono la Banca centrale europea, scrive il giornale economico di Londra.
Un’analisi che abbiamo voluto tradurre per voi.
15 gennaio 2015 – Il processo di formazione di una politica monetaria viene generalmente descritto come una valutazione complessa che bilancia il rischio di inflazione e l’esigenza di crescita. Ma questo ha, da molto tempo, smesso di essere il caso della Banca centrale europea. La necessità di uno stimolo economico non è mai stata più lampante.
La disoccupazione è alta e l’inflazione è in territorio negativo. L’Europa non ha ancora recuperato il terreno perso dal 2008.
La politica fiscale è largamente limitata, dai timori d’insolvenza nelle economie deboli e da un’evidente ostinazione ideologica in quelle forti. Un nuovo allentamento monetario è quanto di meglio si possa sperare. Mario Draghi, il presidente della Bce, lo sa bene. Eppure, invece di pianificare una dose di stimolo, ha dovuto sprecare energie scontrandosi con la legge.
Questa settimana, la Corte europea di giustizia è venuta in suo soccorso quando ha formulato un parere secondo il quale la politica monetaria è una competenza esclusiva della Bce. Questo dovrebbe essere pacifico, ma corti come la tedesca Karlsruhe avevano chiesto di limitare la Bce attraverso accuse di finanziamento monetario illegale.
La Corte europea di giustizia ha dichiarato che queste continue opposizioni stanno oltrepassando il limite. In particolare, non c’è nulla di illegale nel programma di acquisti obbligazionari (OMT) di Mario Draghi, l’arma da lui svelata nel 2012 quando promise di intraprendere qualsiasi misura necessaria a portare ordine nel mercato dei debiti sovrani. Nonostante il bazooka non sia stato poi effettivamente utilizzato – la Bce non ha comprato nemmeno una sola obbligazione sovrana durante il programma – è bastato il semplice annuncio di OMT per raggiungere l’obiettivo.
Non c’era bisogno di una sentenza della Corte europea di giustizia per confermare che la Bce ha facoltà di agire come una banca centrale pienamente indipendente. La notizia è ciò nondimeno benvenuta e aiuterà a velocizzare l’arrivo di un vero Quantitative Easing. Nell’intraprendere un tale passo l’Europa seguirebbe le orme degli Stati Uniti e del Regno Unito. Non è un caso che entrambi abbiano beneficiato a lungo di una crescita più forte che in Europa.
Il compito di Draghi resta ancora difficile. I suoi omologhi internazionali possono intraprendere politiche di QE comprando titoli di debito da un solo stato sovrano, mentre la Bce deve dividere le sue operazioni tra diversi e differenti mercati. Questo porta inevitabilmente a questioni complesse che sconfinano nella politica. Non è chiaro se gli acquisti dovrebbero essere determinati dall’ampiezza di ogni rispettiva economia o del loro mercato obbligazionario, e nemmeno chi dovrebbe sostenere il rischio di default.
La ricerca di una risposta accettabile a questi quesiti è ostacolata dalla tradizione di consenso della Bce. Una maggioranza basica di cinque a quattro è quanto è servito a Haruhiko Kuroda per sferrare un attacco shock sui mercati giapponesi, mentre Draghi deve persuadere i colleghi in dissenso nel Consiglio direttivo. Un quarto di essi si è già opposto alle misure preparatorie per ulteriori stimoli. Anche se Draghi andasse avanti nonostante tutto, una politica monetaria è meno efficace quando temporanea o limitata, una conseguenza probabile del dichiarato dissenso della Germania.
Infine, non è chiaro se il QE funzionerebbe nell’eurozona come altrove. La politica monetaria si trasmette diversamente in tutto il mondo. Gli Stati Uniti hanno un mercato obbligazionario fitto e vario, mentre l’economia europea dipende ancora da grandi e problematiche banche che hanno poca abilità o inclinazione nel supportare l’attività economica. Idealmente, qualsiasi stimolo monetario dovrebbe essere rinforzato da un supporto fiscale – cosa che Draghi sembra aver chiesto in passato.
Si fa fatica a ricordare come una volta la Bce fosse in prima linea nell’intraprendere azioni coraggiose nella lotta contro il credit crunch. Ora è diventata una ritardataria. Piuttosto che perdere tempo in pedanterie circa la definizione di finanziamento monetario, i responsabili politici europei dovrebbero meglio preservare l’incolumità dell’euro appoggiando Mario Draghi. È arrivato il momento di spezzare le catene.
(Traduzione di Luna De Bartolo)
VIA/ The Financial Times