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Il FT: Nell’eurozona è in arrivo il QE, ma a certe condizioni

Dopo l’annuncio quasi formale di oggi, da parte di François Hollande, del piano di Quantitative Easing, quali saranno le condizioni che Berlino imporrà sulla Bce per avviare il programma di liquidità?

Abbiamo tradotto per voi questa interessante analisi del FT.

19 gennaio 2015 – La Banca centrale europea, questa settimana, illustrerà il piano per un programma ambizioso di acquisto di titoli sovrani, in un quadro di incremento degli sforzi per prevenire la deflazione e stimolare un’economia stagnante.

Per diversi mesi la Bce ha reso nota l’intenzione di seguire la statunitense Federal Reserve e la Banca d’Inghilterra, intraprendendo una politica di Quantitave Easing. Ma con l’accordo su una struttura che Mario Draghi, presidente della Bce, potrebbe riuscire a far accettare ai responsabili politici, siamo arrivati proprio al taglio del nastro.

Nonostante le ultime notizie sulla caduta dei prezzi su base annua nell’eurozona, per la prima volta in cinque anni, avessero quasi confermato le attese per un QE, il dissenso all’interno della banca centrale e una fiera opposizione della Germania riguardo all’acquisto di obbligazioni sovrane, ha portato a una contrattazione in vista del voto del Consiglio direttivo di giovedì.

I dettagli circa la portata del programma, e su cosa comprerà esattamente la Bce, devono ancora essere rivelati. La banca, tuttavia, è intenzionata a piegare gli scettici nei confronti del QE rompendo con la tradizione e costringendo le banche centrali nazionali a farsi carico delle perdite derivate dal loro debito pubblico.

La Bce potrebbe acconsentire a contribuire attraverso l’acquisto di titoli da parte della Banca europea degli investimenti. I responsabili politici potrebbero autorizzare la Grecia, e altri con un rating “junk” sul loro debito sovrano, a comprare titoli, esigendo però che questi potranno farlo solo se i loro paesi resteranno nei programmi di riforme della Commissione europea.

Porre l’onere delle perdite sulle spalle delle banche centrali nazionali è una soluzione che guadagnerà difficilmente il supporto di Jens Weidmann, presidente della Bundesbank e membro del Consiglio direttivo, il quale ha dichiarato che un QE senza responsabilità nazionale sulle perdite contravverrebbe al diritto europeo. E nemmeno Sabine Lautenschläger, l’altro membro tedesco del Consiglio, intende appoggiare il capo della Bce. Ma una vasta maggioranza di responsabili della politica monetaria supporterà probabilmente il QE.

Klaas Knot, capo della Banca centrale olandese, tra gli scettici del Consiglio in merito all’acquisto dei titoli, ha fatto sapere che potrebbe cambiare fronte se le banche centrali nazionali accettassero di comprare il loro stesso debito. Questa settimana Knot ha dichiarato al giornale tedesco Der Spiegel che un tale compromesso «ridurrebbe il pericolo di un’indesiderata redistribuzione dei rischi finanziari».

Il piano, inoltre, mitigherebbe le paure dei contribuenti tedeschi, che temono di essere puniti per quella che considerano “sregolatezza” degli altri stati membri. La probabilità di una vittoria alle elezioni di questo mese del partito greco di sinistra Syriza, che ha dichiarato di voler ristrutturare il debito del paese, ha esacerbato queste preoccupazioni.

A Berlino, la cancelliera Angela Merkel crede che l’eurozona sia ora in una posizione più forte di quanto non lo fosse nel 2012, quando appoggiò la richiesta di Draghi di acquistare debito sovrano in quantità potenzialmente illimitate allo scopo di prevenire una possibile rottura dell’eurozona.

Tuttavia, le implicazioni giuridiche per una presa di responsabilità sulle perdite da parte delle banche centrali nazionali sono complesse.

Mentre il diritto Ue vieta alla Bce di prendere volontariamente parte nella ristrutturazione o rinegoziazione del debito pubblico da lei detenuto, non è chiaro se la banca centrale dovrebbe accollarsi le perdite nel caso di una ristrutturazione obbligata per tutti i creditori.

I supporter del compromesso argomentano che i governi sono meno propensi a imporre una ristrutturazione sulle loro stesse banche centrali, dalle quali ricevono un pagamento annuale fintanto che l’autorità monetaria abbia tratto un profitto. Una banca centrale segnerebbe il costo di qualsiasi taglio del debito come perdita.

Altri non sono d’accordo.
«L’argomentazione secondo cui la condivisione del rischio con la Bce dia ai paesi un incentivo all’insolvenza è debole», spiega Guntram Wolff, direttore di Bruegel, un think-thank economico. «La possibilità di trasmettere una parte dell’onere alla Bce non è la ragione per la quale i governi ristrutturerebbero il loro debito, poiché la banca centrale avrà solo una piccola parte dei loro titoli».

Gli economisti preferirebbero che Draghi giungesse a un compromesso sulla condivisione dei rischi piuttosto che sulla portata del pacchetto. Ma la correzione proposta dalla Bce non manca di critici, i quali avvisano che, smantellando il suo impegno sulla condivisione dei rischi, la Bce manda un messaggio pericoloso sul futuro dell’eurozona.

Marcel Fratzscher, un ex funzionario della Bce ora presidente di Diw, un istituto di ricerca economica con base a Berlino, ha detto: «Segnerebbe la fine dell’unione monetaria. Vorrebbe dire meno condivisione dei rischi e meno sforzi comuni».

I precedenti acquisti di debito sovrano da parte della Bce, realizzati come parte del suo “Securities Markets Programme” per combattere la crisi, mettevano in comune l’onere di ogni perdita o profitto tra banche centrali nazionali secondo lo schema di capitale della Bce, la loro sottoscrizione di quote del suo capitale.

David Marsh, amministratore delegato di Omfif, un forum per banche centrali e finanzieri, ha detto che Berlino e la Bundesbank avrebbero dovuto essere consapevoli da qualche tempo che l’unione monetaria avrebbe portato la Germania a sobbarcarsi una parte delle perdite per gli stati debitori, ad esempio la Grecia.

«La Germania sa che l’Europa è molto importante politicamente, ma trova molto complesso guardare alle questioni economiche in modo strategico», ha detto Marsh.

«Una ragione per la quale criticare i funzionari tedeschi risiede nel loro non aver capito che le crisi di competitività susseguitesi, i disequilibri nella bilancia dei pagamenti e l’insostenibilità del debito avrebbero inevitabilmente richiesto una ristrutturazione, mettendo implacabilmente i debitori contro i creditori».

(Traduzione di Luna De Bartolo)

VIA/ The Financial Times

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