15 luglio 2015 – Mercoledì sera, l’assemblea ellenica dovrà votare il piano di riforme concordato dal governo con i suoi creditori, requisito indispensabile per dare il via ai negoziati che potrebbero sbloccare un terzo piano di aiuti per Atene, sotto la regia del fondo salva-Stati e con la partecipazione del Fondo monetario internazionale, del valore di 82 miliardi ripartiti in tre anni.
Ma l’Fmi – come rivelato dal Financial Times, che ha pubblicato un documento riservato inviato dallo stesso Fondo alle istituzioni Ue – potrebbe decidere di non partecipare al piano di salvataggio a meno che i partner del vecchio continente non si decidano a considerare serie misure per rendere sostenibile negli anni a venire il gigantesco debito ellenico: un haircut o un periodo di grazia – durante il quale Atene non pagherebbe interessi né rimborserebbe i bond giunti a maturazione – di tre decenni «sull’intero ammontare del debito europeo» (attualmente è previsto un periodo di grazia di 10 anni, fino al 2023, il Fondo lo vorrebbe esteso fino al 2053). Secondo gli esperti dell’Fmi, l’indebitamento dello Stato ellenico salirà nel 2018 a poco meno del 200% del pil dall’attuale 180%. Una profonda ristrutturazione che va molto al di là di quanto gli europei, con la Germania, l’Olanda e la Finlandia in prima linea, sono disposti a concedere.
E i problemi non finiscono qui. Atene ha bisogno di liquidità immediatamente, non ha il tempo di aspettare la conclusione dell’accordo sul terzo piano di aiuti: già il 20 luglio dovrà rimborsare alla Bce 3,6 miliardi di bond in scadenza, senza contare gli arretrati con il Fmi. Per questa ragione, si è da subito immaginato un prestito ponte da 7 miliardi prima del 20 luglio e 5 entro la metà di agosto per far fronte alle esigenze finanziarie più urgenti della Grecia. Mercoledì, come riportato in un documento visionato dall’agenzia Reuters, la Commissione Ue ha proposto l’uso del Meccanismo di stabilità finanziario europeo (l’Efsm, finanziato attraverso fondi reperiti dalla Commissione Ue sul mercato usando come garanzia il bilancio Ue, poi superato dall’Esm, e che ha ancora a disposizione 11,5 miliardi). Si tratterebbe di un finanziamento d’emergenza che dovrà essere rimborsato entro tre mesi al massimo una volta che Atene avrà finalmente accesso alla liquidità del fondo europeo salva-Stati Esm.
Ma i membri dell’Ue non facenti parte dell’eurozona, Regno Unito in testa, non approvano l’utilizzo di questi fondi per un piano di salvataggio destinato a un paese di eurolandia. «L’eurozona deve saldare al suo interno i propri conti», ha messo in chiaro il ministro delle finanze britannico George Osborne. Tuttavia, questa presa di posizione non preoccupa più di tanto Bruxelles, che ha sottolineato come non occorra il voto favorevole di tutti e 28 i paesi dell’Unione europea per accedere a quei fondi, ma sia sufficiente una maggioranza qualificata rappresentata dall’unanimità dei paesi euro più l’approvazione di quattro dei nove paesi Ue che non fanno parte dell’eurozona.
Allo stesso tempo, in una Atene colpita da una raffica di scioperi per protestare contro il nuovo piano di austerità (si fermano gli statali, la metro è rimasta chiusa dalle 5 di mattina alle 9 e poi forse si bloccherà nuovamente in giornata, mentre le farmacie hanno annunciato una serrata contro le ventilate liberalizzazioni), il parlamento ellenico si prepara a discutere ed approvare entro la mezzanotte di mercoledì – ovvero entro gli stretti tempi imposti lunedì mattina, al termine dell’Eurosummit, dai partner europei – una valanga di riforme e aumenti di tassazione convogliati dentro un provvedimento chiamato “Misure urgenti per la negoziazione e la conclusione di un accordo con l’Esm”. Tuttavia tra le misure non figura la revisione delle baby-pensioni, per la quale bisogna attendere il pronunciamento della Corte costituzionale.
Il primo ministro Alexis Tsipras ha dichiarato alla televisione greca che «non si dimetterà e che non sfuggirà dalle sue responsabilità. La priorità era evitare un disastro e firmare un accordo difficile in cui non credevo ma che ora rispetterò e che ci farà uscire dalla crisi». Il «piano approvato a Bruxelles per tre anni – ha aggiunto Tsipras – è migliore di quello offerto da Juncker e che avrà un impatto fiscale più mite rispetto a quelli offerti ai governi precedenti». «Quanto all’aumento dell’età pensionabile a 67 anni – ha sottolineato – lo avremmo dovuto fare noi stessi». Il premier ellenico dovrà tuttavia, probabilmente, realizzare un rimpasto di governo: 30/40 membri di Syriza non intendono sostenere l’esecutivo nell’approvazione del piano concordato con i creditori. In soccorso arriveranno sicuramente i voti delle opposizioni di Nea Dimokratia, del Pasok e del nuovo centrosinistra To Potami: il piano dovrebbe quindi passare a larga maggioranza. Mercoledì mattina sono arrivate le dimissioni della viceministro delle Finanze, Nadia Valavani, che ha parlato di «resa» alle istanze dei creditori. Poco dopo, più di metà dei componenti del comitato centrale di Syriza (109 su 201, di cui solo 15 parlamentari) hanno rilasciato un documento in cui si schierano contro le misure che stanno per essere approvate dal parlamento.
Secondo un sondaggio di Kapa Research, realizzato per il quotidiano To Vima, il 71% dei greci crede che il parlamento voterà il piano dell’Eurogruppo e secondo il 51,5% dei cittadini l’accordo è positivo.
Intanto, restano chiuse le banche in tutto il paese e lo resteranno almeno fino a giovedì, così come sono ancora in vigore i controlli sui capitali. Si attende una decisione della Bce sui prestiti d’emergenza Ela, l’unica fonte di ossigeno per le disastrate banche elleniche. Decisione che non arriverà prima del via libera da parte del parlamento ellenico al primo pacchetto di riforme.
Luna De Bartolo