L'ICONOCLASTA

Homo Naledi: trovati in Sud Africa i resti di una specie umana sconosciuta

10 settembre 2015 – Alto in media un metro e 50, circa 45 chili di peso, una testa di dimensioni ridotte e il busto ancora curvo, piedi straordinariamente simili ai nostri. Nel profondo di una grotta all’interno del Rising Star, un sito archeologico a circa 50 km da Johannesburg e patrimonio mondiale dell’Unesco, sono stati trovati i resti di una specie umana primitiva fino ad ora sconosciuta alla scienza.

Gli scavi erano stati effettuati tra novembre 2013 e marzo 2014 e, allo scopo di studiare i numerosi fossili rinvenuti, era stato indetto un concorso per selezionare i migliori quaranta esperti al mondo. E oggi, questo team internazionale di scienziati, tra i quali figura anche l’italiano Damiano Marchi, ha pubblicato i risultati delle ricerche: i fossili trovati nella grotta sudafricana, di datazione ancora incerta, appartengono a una nuova specie del genere Homo cui è stato dato il nome di Homo naledi (dal nome del sito in cui è stata effettuata la scoperta: naledi nella lingua Sotho locale vuol dire stella). I dettagli dello studio sono stati pubblicati su eLife e su National Geographic.

«È una scoperta destinata a lasciare il segno sugli studi paleontologici», spiega il professore dell’università di Johannesburg Lee Berger, che coordina il gruppodi ricerca impegnato nello studio dei resti rinvenuti all’interno del Rising Star. «Mai si era riusciti a ricomporre un fossile umano così nei dettagli». Per John Hawks, un ricercatore del team, «la scoperta dell’homo naledi cambia le certezze sulla storia dell’evoluzione umana».

«L’Homo naledi – spiega dal Museo di Storia Naturale di Londra il professor Chris Stringer, citato dal Financial Times – è simile sotto alcuni aspetti, come la forma delle mani, dei polsi e dei piedi, agli umani moderni». «Dall’altro lato – continua Stringer – il piccolo cervello dell’Homo naledi (circa un terzo delle dimensioni di un cervello umano adulto dei nostri giorni) e la forma del suo busto ricordano più i pre umani e le specie umane più antiche, come l’Homo abilis, che ha vissuto più di un milione e mezzo di anni fa». «Basandoci sulle sue caratteristiche – è la conclusione di Stringer – l’Homo naledi potrebbe essere la più antica specie umana scoperta o una specie che ha mantenuto diverse caratteristiche delle fasi più primitive dell’evoluzione umana».

Un’altra interessante caratteristica di questa scoperta è la disposizione dei corpi – che giacevano isolati a 90 metri di profondità rispetto all’ingresso della grotta – che fa pensare a una sepoltura intenzionale: un comportamento rituale ad oggi considerato una prerogativa dell’uomo moderno. «Abbiamo preso in considerazione qualsiasi scenario alternativo», spiega il professor Berger, ma alla fine, «la disposizione intenzionale dei corpi è rimasto lo scenario più plausibile». Tuttavia, non bisogna necessariamente inserire quest’ipotesi in un contesto religioso, gli ominidi potrebbero aver deciso di seppellire i loro morti in una grotta isolata per questioni più pratiche, ad esempio per evitare il propagarsi di malattie.

«Questa grotta», ha avvisato Berger, «non ha ancora svelato tutti i suoi segreti. Potrebbero potenzialmente esserci ancora centinaia se non migliaia di resti dell’Homo naledi lì sotto».

Luna De Bartolo

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