Marcel Fratzscher, ex Banca centrale europea, è l’attuale presidente dell’Istituto tedesco per la ricerca economica. Pubblichiamo la traduzione di un suo interessante commento sulle politiche economiche della Germania.
BERLINO – La posizione della Germania nei confronti dell’Europa è ormai caratterizzata dal rifiuto e dal disimpegno. I suoi policymaker negano ai paesi dell’eurozona colpiti dalla crisi una politica fiscale più attiva; rifiutano di sostenere un’agenda europea degli investimenti che generi domanda e crescita; hanno innalzato il surplus fiscale, e non una maggiore crescita potenziale, a principale obiettivo nazionale; e hanno iniziato a contrapporsi alla Banca centrale europea (Bce) nella battaglia contro la deflazione e il credit crunch. Su tutti e quattro i punti, la Germania ha torto.
Per essere chiari, la Germania è legittimata a rigettare le miopi richieste di espansione fiscale incondizionata da parte della Francia e dell’Italia. Dopo tutto, lo stimolo fiscale può funzionare solo se utilizzato a supporto di investimenti privati e accompagnato da riforme strutturali molto più ambiziose, il tipo di riforme a cui Francia e Italia oppongono resistenza.
Ma la Germania ha tutta l’influenza di cui ha bisogno per realizzare quelle riforme che ha in mente per l’Europa, orientate alla stabilità. Per cominciare, la Germania, insieme alla Commissione Europea, può costringere la Francia ad adottare riforme più profonde in cambio di più tempo per rientrare nei parametri di deficit.
La Germania non può, tuttavia, abbandonarsi alla sua ossessione per le riforme riguardanti il lato dell’offerta senza allo stesso tempo perseguire politiche che favoriscano la crescita. Come la Germania ha imparato dalla sua esperienza dei primi anni 2000, ci vuole del tempo affinché i benefici delle riforme che puntano al lato dell’offerta – ossia, a migliorare la competitività e innalzare i tassi di crescita sul lungo termine – siano percepibili.
Il tempo è un lusso che l’Europa non ha. Con un’economia che ogni mese perde capacità produttiva, crescono le probabilità di sprofondare nella stagnazione e nella deflazione.
La chiave per mettere fine alla crisi europea è un piano di stimolo rivolto alle carenze su entrambi i fronti, offerta e domanda. Ed è per questo che il rifiuto della Germania di aiutare a trovare un modo di finanziare, come proposto, un’agenda europea degli investimenti – cosa che, per un periodo limitato di tempo, finanzierebbe investimenti privati produttivi – è un errore.
Ugualmente problematico è il focus della Germania sul mantenimento del surplus fiscale. Con le proiezioni di crescita del Pil tedesco di quest’anno e del prossimo riviste al ribasso, negli ultimi pochi mesi, di più dello 0,6 per cento, il governo potrebbe essere costretto, per raggiungere i suoi obiettivi, a intraprendere una politica fiscale pro-ciclica, causando addirittura una minore crescita a casa e in tutta l’eurozona.
Posto che, nell’economia tedesca, il divario tra prodotto effettivo e potenziale resta negativo, il governo dovrebbe attuare politiche fiscali espansionistiche che abbiano per oggetto le carenze infrastrutturali del paese. In questo senso, il piano del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble di stanziare 10 ulteriori miliardi di euro per investimenti pubblici nel 2016-2018 rappresenta un passo nella giusta direzione. Sennonché, trattandosi dello 0,1 per cento del Pil annuale tedesco, il progetto di Schäuble assomiglia più a un tentativo di smorzare le critiche provenienti dal resto dell’Europa che a un sincero cambiamento di politica.
Il quarto errore politico della Germania è il suo evidente ritiro del sostegno alla Bce. Negli ultimi sette anni, le azioni della Bce hanno aiutato l’economia e i contribuenti tedeschi tanto quanto i suoi vicini. Per di più, l’osservazione secondo la quale gli acquisti di titoli obbligazionari cartolarizzati da parte della Bce equivalgano a “prestiti tossici” che trasferiscono il rischio sui contribuenti tedeschi è infondata; dopo tutto, è dal 2008 che non ci sono praticamente state insolvenze.
I leader tedeschi devono riconoscere questo, e devono difendere pubblicamente la Bce da timori allarmistici privi di fondamento. Un diverso comportamento potrebbe riflettere uno sforzo nel prevenire l’ascesa delle forze politiche anti-europeiste di estrema destra, in particolare di “Alternativa per la Germania”. Ma questa strategia farebbe solo il gioco del partito.
Se la Germania rifiuta di adottare un approccio più ragionevole, rischia di minare la credibilità della Bce, riducendo in tal modo l’efficacia delle sue misure. Se questo dovesse accadere, la Bce potrebbe essere costretta a intraprendere un acquisto su larga scala di titoli pubblici dell’eurozona attraverso le cosiddette “operazioni monetarie definitive” (Outright Monetary Transactions, OMT), un piano a cui molti politici ed economisti tedeschi si oppongono strenuamente.
Il governo tedesco potrebbe sfruttare la sua considerevole influenza per costringere la Francia e l’Italia a portare avanti le riforme strutturali di cui entrambi i paesi hanno bisogno, autorizzando allo stesso tempo uno stimolo alla domanda favorevole alla crescita, allo scopo di bloccare la minaccia di deflazione che incombe sull’eurozona. E ha l’autorità per rafforzare l’autorevolezza della Bce e quindi i suoi sforzi di assicurare la futura stabilità dei prezzi e prevenire il contagio finanziario.
L’Europa ha bisogno di un “grande accordo” che preveda una stretta coordinazione sulle riforme strutturali e sulle politiche monetarie. La relativa stabilità economica e politica della Germania, lungi dall’autorizzarla a liberarsi di questi impegni, la rende uno degli attori principali nel loro sviluppo e realizzazione. Si tratta tuttavia di capire se i leader tedeschi lo riconosceranno prima che l’economia europea cada in una depressione ancora più profonda.
(Traduzione di Luna De Bartolo)
VIA/ Project Syndicate