L'ICONOCLASTA

I suoi Maga arrabbiati pronti a votarlo ancora

La maggior parte delle persone non penserebbe mai che un pregiudicato possa avere una carica pubblica, per non parlare di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti e diventarne il presidente.

Il mio articolo su La Stampa

Tuttavia, la Costituzione americana enumera soltanto tre requisiti per essere candidabili alla Casa Bianca: i presidenti devono avere almeno 35 anni, devono essere nati negli Stati Uniti e devono avervi vissuto negli ultimi 14 anni. Tutto qui. La Costituzione non dice niente a proposito di delinquenti, condannati o addirittura detenuti in carcere. Per quanto strano, queste negli Stati Uniti non sono restrizioni.

È ovvio, Thomas Jefferson, Benjamin Franklin e i Padri fondatori che nell’estate del 1787 scrissero la Costituzione probabilmente non si sarebbero mai immaginati qualcuno come Donald Trump. Come avrebbero potuto concepire candidato alla presidenza un ex presidente con due impeachment alle spalle che deve affrontare molteplici cause penali in molteplici processi? In un periodo della Storia americana senza precedenti – un periodo squallido, se è per quello – Trump è stato giudicato colpevole di aver falsificato i registri contabili della sua azienda in 34 occasioni distinte per impedire che gli elettori venissero a sapere di un suo rapporto sessuale con una pornostar che secondo lui lo avrebbe potuto danneggiare sul piano politico.

La condanna a New York di giovedì pomeriggio è la prima dei Quattro Grandi Processi di Trump. Nel processo di Miami – dove è accusato di aver sottratto documenti nucleari top secret e di aver poi ostacolato la giustizia, cercando di tenerli nascosti – è inverosimile che Trump debba affrontare tanto presto le conseguenze delle sue azioni. Un giudice esplicitamente dalla parte di Trump, nominato proprio da lui, si sta adoperando in tattiche dilatorie così che il processo non possa iniziare prima delle elezioni per la presidenza del 5 novembre 2024. La causa a Trump di Atlanta, in Georgia, per interferenze elettorali è stata accantonata e rimandata perché i suoi legali sono riusciti a gettare discredito sul procuratore generale. Quel processo non si svolgerà prima di novembre. Nella causa più seria in cui Trump è coinvolto – quella per l’accusa di istigamento dell’insurrezione del 6 gennaio –, la Corte Suprema si sta muovendo al rallentatore e i giudici da lui nominati frenano di proposito le cose. I giudici di destra filo-trumpiani della Corte Suprema potrebbero anche riuscire a garantirgli un certo livello di immunità: non sono giudici imparziali e stimati, bensì ideologi militanti determinati a vietare l’aborto, abrogare il matrimonio tra coppie dello stesso sesso e contribuire a riportare Trump alla Casa Bianca. A Washington oggi la triste situazione è questa. Che cosa accadrà adesso, dopo la condanna di Trump? Il verdetto di colpevolezza lo aiuterà o lo danneggerà?

L’impatto della condanna di Trump da parte del tribunale si manifesterà entro poche settimane, anche se probabilmente i primi instant poll saranno pubblicati a breve. Fino a questo momento, nei sondaggi di opinione soltanto il sei o sette per cento degli elettori di Trump aveva detto che avrebbe potuto non votare per lui qualora fosse stato giudicato colpevole di accuse penali. La base Maga di Trump, invece, sarà rinvigorita dalla sentenza e, all’indomani del processo, Trump sta già raccogliendo fondi. Naturalmente, Trump si proclama vittima di una caccia alle streghe ed è sostenuto e appoggiato dall’intero Partito repubblicano, un Partito da cui ha epurato i moderati e che oggi è guidato da sua nuora Lara Trump.

Nei messaggi di posta elettronica che spedisce chiedendo finanziamenti, Trump si definisce un “prigioniero politico” e il suo sito web ha messo in vendita un nuovo cappellino Maga sul quale si legge lo slogan “Never Surrender” (mai arrendersi). Trump è ancora in testa in buona parte dei cosiddetti “swing states”, i sei importanti stati in bilico che saranno decisivi per le elezioni di novembre: Arizona, Nevada, Georgia, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin.

Il risultato alle urne in quegli stati sarà determinato di stretta misura, in alcuni casi appena qualche migliaio di voti. La condanna peserà? Forse un po’. Potrebbe essere uno dei fattori e ne sapremo di più tra qualche settimana, ma altrettanto determinante sarà se nei sei swing state più importanti saranno in lizza Robert F. Kennedy Jr e altri candidati del Terzo Partito. Lì, infatti, anche un solo punto percentuale o due per il Terzo Partito potrà fare la differenza, verosimilmente a vantaggio di Trump. L’11 luglio Trump comparirà in tribunale a New York per la lettura della sua sentenza, appena quattro giorni prima dell’inizio della Convention dei repubblicani che lo consacrerà ufficialmente come loro candidato alla Casa Bianca. È improbabile che Trump sia messo in galera: in più del 70 per cento delle cause per falsificazione dei libri contabili, al condannato non viene comminato il carcere, ma più spesso un periodo di libertà vigilata. In ogni caso, possiamo star certi che Trump si presenterà alla Convention repubblicana di Milwaukee come un martire sfolgorante, una vittima, un prigioniero politico.

Potrebbe energizzare la sua base al punto da controbilanciare i voti che perde. La verità è che non molti americani stanno prestando attenzione ai processi di Trump. Per l’americano medio, il verdetto di colpevolezza appena emesso non è così facile da comprendere e, oggettivamente parlando, è di gran lunga meno importante dell’insurrezione del 6 gennaio che Trump ha istigato. Nel frattempo, Biden cercherà di dipingere il suo avversario come un pregiudicato. Tuttavia, per ogni americano che considererà Trump un delinquente pericoloso e perfino neofascista, ci sarà un altro americano suo fan sfegatato oppure a cui la condanna non interessa granché. In un Paese normale, in una società che conserva il senso della dignità, del pudore e del rispetto a tutto tondo della legalità, il processo penale senza precedenti e la condanna di un ex presidente degli Stati Uniti sarebbe un evento sconvolgente e traumatico. Nell’America di oggi, in una società profondamente divisa in cui rabbia, paura ed estremismo sono diventati la norma, non molte persone se ne preoccupano per davvero. I fatti non contano molto nella società spudorata e superficiale alla TikTok che l’America è diventata. Gli amici e gli alleati di Trump di mezzo mondo – da Viktor Orbán e Vladimir Putin a Benjamin Netanyahu – fanno il tifo per lui, auspicano la sua vittoria e sperano di conseguire quello che si ripromettono grazie al suo ritorno alla Casa Bianca. A loro non importa un fico secco se Trump è un pregiudicato. Proprio per niente. Nel quartiere generale della Nato a Bruxelles, intanto, il nervosismo aumenta…

Traduzione di Anna Bissanti

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