L'ICONOCLASTA

Il bis Trump-Biden si gioca in tribunale

Piaccia o no, Joe Biden e Donald Trump sono i candidati per cui si voterà l’Election Day, il 5 novembre 2024.

Il mio articolo su La Stampa

Martedì entrambi hanno vinto le rispettive primarie, collocandosi al di sopra della soglia dei delegati necessaria a diventare “presumptive nominees” dei rispettivi partiti.

Alla Convention repubblicana di luglio, che si svolgerà a Milwaukee, Trump sarà incoronato ufficialmente candidato del Partito repubblicano. Biden invece sarà consacrato definitivamente candidato del Partito democratico ad agosto a Chicago. Nessuno dei due gode di popolarità presso l’elettorato. Una stragrande maggioranza di americani preferirebbe non assistere al bis delle elezioni del 2020, Biden contro Trump. Adesso, però, questo non ha importanza. Né sembra importare alla maggior parte dei repubblicani che Trump debba rispondere di 91 capi di accusa in quattro processi penali. A loro non importa se Trump se la prende con la Nato, elogia Putin, ricorre alla retorica di Hitler come quando parla di “parassiti” e di come “gli immigrati avvelenano il nostro sangue”. Anzi, molti suoi fan in questo movimento equiparabile a un vero e proprio culto, noto anche come Partito repubblicano, di fatto amano Trump quando questi manifesta tutti i tratti degli autocrati che tanto ammira.

Alcuni sondaggi indicano che circa il 25 per cento dei repubblicani potrebbe cambiare idea e non votare per Trump qualora fosse condannato nei processi penali prima di novembre. Grazie ai rinvii nel calendario della Corte suprema, che deve decidere se Trump abbia o meno l’immunità, il tycoon dovrebbe però essere in grado di spostare all’autunno il suo processo per l’insurrezione del 6 gennaio, e quindi se possibile dopo le elezioni di novembre. Vale la pena sottolineare che in America ci sono giudici politicizzati tanto quanto in Italia: in Florida, un giudice filo-trumpiano nominato da Trump si sta dando un gran daffare per rinviare a dopo le elezioni di novembre – e scongiurare – il processo per il furto di documenti top secret.

Probabilmente, a maggio o a giugno Trump sarà condannato nel processo di New York che inizia il 25 marzo, relativo alle mazzette con le quali ha comprato il silenzio della pornostar Stormy Daniels. Non è chiaro, tuttavia, se questo influenzerà i suoi elettori. Gli ultimi sondaggi danno Trump in vantaggio in tutti gli swing states, gli stati in bilico più importanti e decisivi nelle elezioni, stati come Michigan, Pennsylvania, Georgia, Arizona, Nevada, e Florida. Se l’America votasse oggi, potrebbe trionfare con buon margine, ma al 5 novembre mancano ancora otto mesi.

Un altro sondaggio di Usa Today/Suffolk University mostra che, se in questi stati in bilico vi fosse un terzo candidato, Trump sconfiggerebbe Biden perché molto probabilmente il terzo candidato in questione – Robert F. Kennedy Jr. – sottrarrebbe voti più a Biden che a Trump. Kennedy è la pecora nera della sua famiglia, un teorico della cospirazione, fa proselitismo no-vax, è amico di Steve Bannon, è alleato con candidati di estrema destra che credono che la sua candidatura potrebbe privare Biden della vittoria ottenendo anche soltanto l’uno o il due per cento dei voti negli swing states. Kennedy è stato denunciato e ripudiato dai suoi fratelli e dalle sue sorelle, tutti figli del grande Bobby Kennedy.

Insomma, da adesso a novembre il quadro della situazione è questo. La campagna per la presidenza sarà brutta, cara e senza alcun dubbio puntellata da cyber-interferenze e altre tattiche clandestine perpetrate da Russia, Cina e chiunque altro voglia aiutare Trump. L’America diventerà ancora più divisa di quanto già non sia. Per gli autocrati del mondo di oggi, a cominciare da Vladimir Putin, una vittoria di Trump sarebbe il segnale che possono continuare a combattere contro l’ordine liberale occidentale e le sue istituzioni. Per l’Europa e la Nato sarebbe un disastro. Per l’Ucraina vorrebbe dire la morte della nazione, o quanto meno un grave smembramento.

La settimana scorsa il Primo ministro autocrate dell’Ungheria, Viktor Orbán, filoputiniano, è andato a trovare Trump in Florida. Quando è uscito dall’incontro, è sembrato uno a cui piace interpretare “il mini-me” del “Dottor Male” di Trump. Il leader ungherese ha annunciato che «Trump non darà un centesimo all’Ucraina ed è per questo che la guerra finirà appena sarà eletto». Certo, Trump sta facendo già ora il lavoro sporco per Putin al Congresso: ha intimato ai repubblicani l’ordine di bloccare gli aiuti militari all’Ucraina dagli Stati Uniti e, a cominciare da Mike Johnson, Speaker della Camera dei rappresentanti, gli stanno obbedendo.

Durante il suo straordinario discorso sullo Stato dell’Unione della settimana scorsa, Joe Biden ha sintetizzato così la situazione in un passaggio drammatico: «Non è trascorso molto tempo da quando un presidente repubblicano, Ronald Reagan, disse a Gorbaciov: “Abbatta questo muro!”. Adesso il mio predecessore dice, e cito le sue parole, fate pure tutto quel diavolo che vuole». Queste sono le testuali parole pronunciate da un ex presidente che si è inchinato davanti al leader russo. Penso che sia vergognoso, pericoloso e inaccettabile». Come dargli torto?

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