L'ICONOCLASTA

Il nuovo ordine globale e il buonismo di Davos

L’anno scorso sbagliarono le previsioni su Brexit e Trump, per eccesso di ottimismo. Oggi assistono al ruolo egemone della Cina. Il mio commento sui protagonisti del vertice economico di Davos, conclusosi ieri, pubblicato sul Corriere della Sera.

21 gennaio 2017 – Un anno fa, al vertice economico annuale di Davos, l’élite mondiale della finanza e della politica aveva le idee molto chiare: Donald Trump non sarebbe mai potuto arrivare alla Casa Bianca, i britannici avrebbero votato contro la Brexit e la globalizzazione era la forza più benevola della storia dell’umanità. L’ordine mondiale liberale significava commercio libero, mercati aperti, libero movimento delle persone e un impegno comune per affrontare i problemi del clima. Quest’anno i delegati a Davos si sono invece trovati davanti a una crisi, che per certi versi assomiglia a una crisi esistenziale. La loro religione della globalizzazione appare screditata, almeno secondo i leader emergenti negli Usa e Europa. L’élite mondiale ha perso il bandolo della matassa mentre le vittime degli effetti negativi della globalizzazione si sono fatte sentire al seggio elettorale.

Con la vittoria della Brexit, l’elezione di Trump e la sconfitta di Renzi nel referendum — per non parlare dei movimenti xenofobi e anti-immigrati in crescita in Germania, Francia, Olanda e Ungheria — siamo entrati in una fase di rigurgito politico-culturale contro l’establishment, un ammutinamento dei popoli contro le élite, contro proprio quelle élite che si sono riunite nei giorni scorsi a Davos. Davos Man è il famoso termine coniato da Samuel Huntington per descrivere la figura elitaria di Davos, un fervente difensore della globalizzazione ma illuminato e progressista su questioni come la povertà in Africa o il clima. Il Davos Man è un buonista, appoggia i valori del mondo liberale, della diversità culturale e del business. Vive in una bolla di lusso ma è sempre politicamente corretto. Sceso dall’elicottero, vestito in corporate casual, si vede con altri Davos Men al bar dell’hotel Seehof, per il bicchiere della staffa con George Soros o forse per l’ennesimo racconto dell’ex presidente Bill Clinton.

Sulla carta, quest’anno a Davos il tema in discussione è la responsabilità delle leadership. Ma il vero tema potrebbe essere la responsabilità di Davos, che quest’anno è apparsa più come simbolo del problema piuttosto che soluzione. L’élite mondiale è sotto tiro e farebbe bene a interrogarsi sul perché i populisti stanno sconfiggendo le élite in mezzo Occidente. Se Davos sarà servita a qualcosa quest’anno sarà perché avrà segnato l’inizio di un periodo di profonda introspezione da parte dell’élite mondiale. Non basta lamentare i rischi del protezionismo con l’arrivo di Donald Trump. Non basta fare autocritica sugli effetti della globalizzazione. Bisogna riconoscere che con Donald Trump alla Casa Bianca stiamo entrando in un periodo di politica internazionale imprevedibile e incerto. Bisogna riconoscere che l’ordine mondiale liberale a cui ci siamo abituati per mezzo secolo si sta riplasmando e in qualche caso stanno uscendo fuori delle democrazie illiberali.

Intanto Vladimir Putin continua a riscrivere la mappa geopolitica di mezzo pianeta, avendo appena orchestrato una grave ingerenza nella campagna elettorale statunitense a favore di Donald Trump. Forse l’ironia suprema di questo vertice di Davos è che l’arrivo di Donald Trump sta spianando la strada all’emergere di una Cina più influente sul palco mondiale. Martedì, per la prima volta, il presidente della Cina ha aperto il vertice di Davos, e il messaggio del presidente Xi Jinping è stato da grande protagonista. La Cina si è presentata a Davos e nel mondo come la forza affidabile per la stabilità internazionale, a favore del commercio libero ma attraverso una globalizzazione più inclusiva e equa. La Cina ora fa la buonista, e potrebbe anche sedurre il Davos Man. Grazie a Donald Trump, oggi la Cina si posiziona come leader mondiale anche nella tutela dell’ambiente e nella difesa dell’accordo sul clima. No comment. L’ordine mondiale che conosciamo sta cambiando, e il Davos Man, almeno per ora, è in ritiro. La leadership di pensiero mondiale non sa cosa pensare. E questo sì, potrebbe essere un problema.

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